Il tema della sicurezza, interna e internazionale, è sempre più percepito dai cittadini di ogni parte del mondo come uno dei problemi fondamentali per le nostre società. Parallelamente, cresce la consapevolezza che la sicurezza interna di un Paese sia ormai indissolubilmente legata al contesto globale, e ciò non solo a causa della paura delle azioni terroristiche che minacciano la nostra vita quotidiana, ma anche per la crescente evidenza di focolai di guerra in ogni parte del mondo. E in un mondo così connesso non è difficile immaginare quali conseguenze avrebbero, per la vita di ciascun essere umano, conflitti che dovessero deflagrare improvvisamente anche in Paesi lontani, specie se collegati a potenze nucleari. Tuttavia, l’immaginario collettivo è ancora molto legato a una visione della sicurezza internazionale che gli ultimi decenni hanno profondamente modificato.
Questa riflessione, insieme ad altre che seguiranno nelle prossime settimane, vuole offrire un aiuto a comprendere come siano cambiate, e come siano in costante evoluzione, le caratteristiche della sicurezza globale, gli scenari di rischio, i fattori di crisi: questo al fine di delineare quali scelte e azioni si impongano oggi per garantire serenità a tutti e a ciascuno.
La visione “classica” della sicurezza internazionale richiama attori e regole di comportamento nati ufficialmente con il Congresso di Vienna del 1815. Gli Stati, l’equilibrio di potenza, gli interessi nazionali, le guerre convenzionali, le alleanze e le “regole di condotta”: queste le principali parole chiave di un mondo che è durato circa due secoli, ma che gli ultimi decenni di storia hanno profondamente stravolto. Le guerre mondiali, la proliferazione di organizzazioni internazionali, la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico sono stati alcuni tra i principali acceleratori di questo cambiamento, che si è manifestato chiaramente nell’ultimo decennio del XX secolo, quando il crollo dell’Unione Sovietica decretò la fine di quel sistema.
Venuta meno la rigidità di un mondo diviso in due blocchi, dove ogni situazione rifletteva il duopolio sovietico-americano, sono esplose crisi, pulsioni, tensioni che da anni “fermentavano” sotto il cappello della Guerra Fredda, come un mare apparentemente calmo in superficie, ma scosso da forti correnti in profondità. Ebbene, queste crisi avevano natura diversa, che sfuggiva alla politica e alla diplomazia: una natura più irrazionale, se vogliamo, influenzata anche da motivazioni etniche, religiose, culturali, economiche. La prima grande tragedia di rilievo internazionale, quella dei Balcani degli anni ’90, è lì a dimostrarlo.
Tuttavia, il “nuovo corso” del sistema internazionale fu inaugurato l’11 Settembre 2001, con l’attentato alle Torri Gemelle: un episodio che per impatto economico, politico e mediatico segnò la svolta. Per la prima volta fu invocato l’articolo 5 dell’Alleanza Atlantica, quello che – per intenderci – obbliga i Paesi della Naro ad assistere chi subisca l’attacco di uno Stato nemico: lo invocarono gli Stati Uniti, non contro uno Stato, ma contro il “terrorismo”. Un episodio che dimostrò il cambiamento in corso: attori, regole d’ingaggio, strumenti e metodi di aggressione erano destinati a mutare sempre di più e sempre più rapidamente.
Ulteriori profondi cambiamenti sono avvenuti negli ultimi quattro anni, da un lato con l’aggressione russa all’Ucraina, definita da molti specialisti come il vero prototipo di “guerra ibrida”, dall’altro con l’insorgere dell’Isis (o Daesh), il terrorismo che pretende di farsi Stato. Paradossalmente, si è ormai entrati in un’era dove nelle guerre lo strumento militare è solo l’ultimo della catena: l’era, appunto, dei conflitti ibridi, dove Stati, terrorismo, organizzazioni criminali, grandi centri di potere finanziario ed economico internazionali si combattono facendo ricorso a svariati e diversi mezzi di offesa.
Tutto ciò si capisce bene se si guarda ai molti rischi annidati nei vari angoli del globo terrestre, ognuno dei quali si caratterizza come una potenziale minaccia all’intero sistema. Quella che, in modo illuminante, papa Francesco ha definito come la Terza guerra mondiale a pezzetti.
Basta pensare a quanto accade molto vicino a noi: i conflitti vecchi e nuovi in un Medio Oriente sempre più sanguinante; l’instabilità dilagante in nord Africa, dove le migrazioni sono sfruttate per finanziare attività illecite di terrorismo e criminalità internazionale; l’insostenibile combinazione di pressione demografica, povertà e guerre locali nell’area sub sahariana; la persistente confusione politica e la frammentazione nei Balcani occidentali (ex Jugoslavia) a favore della radicalizzazione islamista; l’incessante travaglio dell’Europa orientale, dai Paesi Baltici fino alla Georgia passando per l’Ucraina, dove la presenza militare e l’influenza propagandistica della Russia tentano di strapparla al percorso di integrazione euro-atlantico.
Ma guardando oltre gli orizzonti immediatamente circostanti l’Europa, la situazione non appare meno inquietante. In Corea del Nord, Paese voluto e creato come stato-cuscinetto tra Cina e Occidente e sfuggito al controllo di entrambi, la diplomazia sta provando ad arginare una pericolosissima escalation nucleare; dall’Oriente si espande silenziosamente la Cina, che usa l’economia e la geopolitica per allargare la propria sfera di influenza in Africa, in Medio Oriente e in Europa, e non disdegna di annettere illegittimamente isole nel Mar cinese orientale e meridionale a scopi militari; e ancora le rivolte venezuelane, il terrorismo centrafricano, il mutamento climatico nell’Artico con i rischi di militarizzazione del Grande Nord, i nazionalismi dilaganti, gli attacchi informatici, la pirateria marittima.
Presupporre che ciascuno di questi pezzi non rappresenti una minaccia per tutto il sistema, è un atteggiamento superficiale: nel mondo di oggi, dove l’estrema interconnessione è non solo geografica, ma anche tematica, ogni cosa interessa l’attenzione di un grande Paese come il nostro, e ancor di più di una grande organizzazione come l’Unione europea. Ecco perché la prima necessità è che vi sia consapevolezza su ciò. In primis per il fatto che le spese per la difesa e la sicurezza non sono un lusso o uno spreco, ma costituiscono il principale e inevitabile investimento per il futuro; in secondo luogo, che la Difesa non può essere solo l’Esercito, ma deve comprendere l’intelligence, la cybersecurity, la cooperazione internazionale e molto altro ancora.
Parole chiave:
Cybersecurity: individua l’area di azione necessaria per garantire la sicurezza dei sistemi informatici e tecnologici dell’intelligence nazionale e dei soggetti strategici di uno Stato (grandi aziende, banche, reti infrastrutturali…). Migliaia di attacchi informatici vengono sferrati quotidianamente.
Guerra ibrida: è un nuovo modello di scontro internazionale, dove si affrontano Stati, coalizioni di Stati e attori non-statali (ad esempio,, organizzazioni terroristiche) sia all’interno che all’esterno del territorio nazionale obiettivo dell’attacco. Infatti, differentemente dalle tradizionali guerre, essa si svolge in un singolo, interconnesso e globalizzato sistema mondiale. I contendenti ricorrono all’uso di differenti mezzi di offesa: forze armate convenzionali; forze armate non convenzionali (terrorismo, attività criminali, guerre civili, sovversioni…); metodi non militari trasformati in armi (diplomazia, informazione di massa, economia, finanza, commercio, fenomeni sociali…). L’obiettivo è creare instabilità multiple, prescindendo dalla convenzionale dichiarazione di guerra.
Guerra d’informazione: scontro nel mondo della comunicazione, iniziato dall’aggressore per influenzare la vita politica, sociale, economica e militare del Paese attaccato. È portata avanti mediante l’uso della propaganda, che si avvale della diffusione di mezze verità, falsità e gossip create ad arte per influenzare le opinioni, le emozioni ed i comportamenti della società e dell’opinione pubblica dello Stato avversario.