I migranti mettono in crisi l’Ue. La frase più emblematica della giornata di ieri è venuta dalla Commissione: “Domani misure concrete”. La sintesi perfetta di quello che è mancato fino ad oggi. Gentiloni per la prima volta con i partner europei ha agitato il problema interno: servono misure efficaci e urgenti — ha detto il capo del governo — per evitare “reazioni ostili nel nostro tessuto sociale che finora ha reagito in modo esemplare dimostrando capacità di accoglienza e coesione”. Le misure decise dai ministri degli Interni di Italia, Germania e Francia nel vertice di domenica a Parigi prevedono tra i propri punti qualificanti una stretta sull’operato delle Ong, più fondi e mezzi per consentire alla Libia di controllare le coste e una ricollocazione dei migranti anche in altri paesi europei. Questo punto è quello destinato a suscitare i maggiori contrasti: ieri Francia e Spagna si sono affrettate a negare l’uso dei porti e l’Austria si è detta pronta a schierare l’esercito al confine con l’Italia. Oggi i commissari europei dovrebbero approntare le “misure concrete” che saranno discusse nella riunione informale dei ministri degli interni dell’Ue giovedì a Tallinn, in Estonia. Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, snocciola tutti gli errori del nostro paese. 



E’ realistica l’ipotesi di un controllo militare della frontiera sud della Libia?

No. Richiede troppo tempo, troppi soldati e troppi soldi. Controllare la frontiera con il Niger, ammesso e non concesso che il Niger fosse d’accordo, oltretutto sarebbe inutile perché i trafficanti troverebbero subito un’altra strada.



Controllare le coste libiche?

Ma in che modo? Sbarcare in Libia per controllare le coste non è un’operazione credibile e infatti mi risulta che nessuno lo voglia fare.

E la ricollocazione europea?

La relocation viene riconosciuta ai siriani e in parte agli iracheni e agli eritrei. Il problema è che quelli che arrivano in Italia non sono più né siriani, né iracheni né eritrei: sono tutti migranti economici. Macron ha detto che i migranti economici sono l’80 per cento, ma ha citato una fonte Frontex del 2015; oggi sono praticamente il 100 per cento. Se anche poi i paesi europei accettassero di dividersi in quote tutti i migranti illegali diretti in Italia, per esempio aprendo i propri porti, il problema non si risolverebbe, perché questo incentiverebbe nuove partenze.  



Veniamo alle Ong. Si parla di regole più rigide, di riportarne l’operatività sotto l’indirizzo della guardia costiera.

Sarebbero regole inefficaci. Lo schema è collaudato: le Ong raccolgono africani in acque libiche e li portano in Italia. Se l’Italia vuole fermare i flussi, faccia sul serio e chiuda i porti, dicendo stop sia alle navi delle Ong sia a quelle degli altri paesi Ue. 

Per poi fare cosa?

Per riportarli indietro. L’ambiguità va superata. Se vogliamo davvero fermare i flussi soccorriamo i migranti salpati, perché nessuno può né deve essere lasciato in mare, e li riportiamo in Libia. L’Onu, che ha un campo profughi al confine con la Tunisia, dovrebbe occuparsi di assistenza e rimpatrio.

A quale ambiguità si riferisce?

A quella per cui quando i migranti arrivano alle nostre navi, noi li portiamo in Italia, quando invece dovremmo riportarli indietro. Nel 2013, con l’operazione Mare nostrum successiva alla strage di Lampedusa, tutto il peso del soccorso ricadeva sulle navi da guerra italiane. Allora fu l’Italia a chiamare in soccorso l’Europa, chiedendo navi e soldi. Ma non è stato mai messo in discussione il fatto di accoglierli in Italia ed è qui che è nato il problema.

Dunque riportiamo i migranti in Libia. Davvero cesserebbero i flussi?

Sì, perché nessuno spenderebbe migliaia di euro per fare viaggi a rischio della vita sapendo di restare in Africa.

Non vede ostacoli a questa soluzione?

Uno c’è ed è il più rilevante: i flussi di denaro che vanno nelle casse di chi fa assistenza ai migranti. In mare e in Italia. Mille rivoli gestiti da associazioni i cui padrini politici stanno nelle file del governo Letta-Renzi-Gentiloni. 

L’Italia per un giorno ha minacciato la chiusura dei porti. Non crede che sia un’arma spuntata?

Era un’arma efficace che aveva un senso se non veniva annunciata. Se davvero chiudessimo i porti le Ong cesserebbero l’attività, non sapendo dove portare i migranti, e lo stesso farebbero le navi di Frontex e di EunavForMed, perché i loro governi non accettano migranti illegali. Non a caso Francia a Spagna hanno detto che non intendono concedere i loro porti.

Possiamo contare sul supporto libico?

Solo in parte. Abbiamo dato a Serraj delle motovedette e addestrato la guardia costiera libica. Con quei mezzi i libici, oltre a denunciare quello che già sapevamo ovvero che le Ong sono in combutta con i trafficanti, hanno riportato indietro più di mille migranti, intercettato gommoni e barconi, ingaggiato scontri con gli scafisti. 

Ma non lo ritiene un aiuto risolutivo, par di capire. Perché?

E’ difficile che Serraj possa bloccare un flusso di denaro che oggi rappresenta metà del Pil della Tripolitania e che è riconducibile alle tribù di cui chiede il consenso per rimanere in piedi. Aggiungo che la spiaggia dalla quale parte il maggior flusso di gommoni è Sabrata e a Sabrata fino all’anno scorso c’era una base dell’Isis.

Non crede che Fayez al Serraj sia politicamente sempre più in difficoltà?

Certo. Infatti se tutta la Libia finisse in mano ad Haftar sarebbe meglio per tutti. Con tutta la Libia sotto controllo, Haftar porrebbe delle condizioni, chiamiamolo pure ricatto. Faremmo con lui un accordo come lo abbiamo fatto a suo tempo con Gheddafi.

L’Italia sta tentando di difendere le sue ragioni in sede europea e di non rimanere sola. Quali chance abbiamo?

Nessuna, a mio avviso, perché l’Europa non ci sta a farsi prendere in giro. Intanto l’immigrazione non è di competenza della Ue ma dei singoli stati. Malta ha detto di non volerne ospitare e così è stato, idem per la Bulgaria, che ha detto di no ai profughi siriani adducendo le condizioni di povertà del paese. La Ue si è rammaricata ma tutto è finito lì.

E noi?

Noi parliamo di integrazione, ma quali interessi dobbiamo tutelare per primi? In Italia abbiamo 7,2 milioni di poveri, l’impatto del costo per l’asilo dei migranti potrebbe superare quest’anno lo 0,4 per cento del Pil in un paese che cresce a stento dell’1 per cento l’anno. Intanto l’ultima legge di bilancio ha destinato alla spesa per l’accoglienza 4,2 miliardi.

E la tutela del diritto d’asilo?

Non è in questione il diritto d’asilo. Si tratta invece di negare l’ospitalità a chi dell’asilo non ha alcun diritto, perché chi fugge realmente da una guerra non paga sette-otto gruppi criminali per passare le frontiere: fa domanda di asilo dai campi profughi dei paesi confinanti. Migliaia di siriani sono stati accolti legalmente in questo modo in Canada e in Australia dai campi profughi in Turchia, Giordania e Libano, previa identificazione da parte di commissioni canadesi e australiane.

La svolta dell’Italia è arrivata dopo che il 28 giugno Mattarella, dal Canada, ha parlato di situazione potenzialmente “ingestibile” e ha detto che il fenomeno va governato “assicurando contemporaneamente la sicurezza dei cittadini”. Come commenta?

Era prevedibile: l’incapacità di controllare le frontiere esterne sta facendo rinascere le frontiere interne e i loro muri. Il governo attuale ha scoperto l’emergenza migranti dopo gli ultimi 12mila sbarchi del 27 giugno, guarda caso successivi alla batosta elettorale presa alle comunali. E i 74mila arrivi dal primo gennaio a fine giugno 2017 (85.183, ultimo dato Oim, ndr)? Se prima chi parlava di emergenza era razzista e xenofobo, adesso anche i vertici istituzionali dicono che bisogna ascoltare le preoccupazioni della gente. 

Perché proprio adesso, perché così tardi?

Hanno capito che il problema è così grave che rischia di far saltare gli equilibri politici e di compromettere il successo elettorale delle forze che tengono in piedi il governo.

(Federico Ferraù)