Il G20 che si sta svolgendo ad Amburgo, a cent’anni dalla vittoria leninista nella rivoluzione russa, è drammaticamente significativo. Fu tedesco il treno che i servizi segreti della Wehrmacht apprestarono per far giungere Lenin in Russia durante la guerra ed è tedesca la città in cui si tiene una riunione dei leader del mondo che non potrebbe aprirsi in più nefaste condizioni. I presagi sono di una deflagrante divisione del mondo. Mettiamoli in ordine, questi segni archetipali. 



L’ Ue e il Giappone hanno appena concluso un accordo di libero scambio che è tutto il contrario di quella visione neo-protezionista selettiva evocata da Trump e dal blocco di potere che con grandi incertezze lo sorregge. È un accordo che unifica gli standard tecnici automobilistici tra un blocco di produttori che ha avuto nel corso degli ultimi anni continui scontri con quelli nordamericani (dieselgate in testa) e segna la via all’apertura di una delle frontiere doganali più chiuse al mondo sinora: il mercato agricolo interno giapponese che comincia a dischiudersi dopo due secoli di ostinate resistenze alle pressioni occidentali 



Il tutto mentre la Trans-Pacific Partnership, che doveva dischiudere una nuova era commerciale grazie all’alleanza tra Usa, Giappone e Vietnam contro la Cina (esclusa da quel possibile accordo) si è persa nei meandri della burocrazia imperiale nordamericana e viene sbandierata invece come un emblema globalista da una Cina che impugna le liberalizzazioni di mercato come uno scettro di un nuovo dominio dei mari che ricorda la battaglia del Regno Unito vittoriano per il free trade mondiale.

La Cina non è ancora giunta ad aprirsi la via distruggendo manu militari l’industria tessile indiana oppure frantumando ciò che rimaneva dell’Impero ottomano in clan l’un contro l’altro armati dopo la Prima guerra mondiale, ma poco ci manca e la mano dura di già si usa proprio nel mare di casa degli stati asiatici che confinano per mare con l’Impero di Mezzo, con i continui incidenti militari e diplomatici che accompagnano la Cina ovunque le sue merci giungono. La prossima spartizione della Mesopotamia e del Mediterraneo che accompagnerà il futuro del raddoppio del Canale di Suez conferma questa mia tesi: globalisti, i cinesi, solo perché neo-imperialisti



I russi, dal canto loro, seguendo le teorie del grande Primakov e guidati più che da Putin dal grande ministro degli Esteri Lavrov, ritornano potenza euroasiatica per eccellenza e dalle vette del dominio mondiale riforniscono di gas la Cina e ne prendono la mano da un lato, mentre dall’altro impegnano le forze armate in Mesopotamia condizionando il furto della Siria e del Libano e di tutta l’area nordafricana con l’accordo con Turchia e Iran per controbilanciare la Francia e gli Usa in un’area geostrategica del mondo per il suo potenziale energetico infinito.

L’ Africa seguirà… Ad Amburgo la Merkel si è preparata benissimo: alleanza strategica con la Cina e scontro con Trump per pareggiare i conti dopo il dieselgate e la scissione sul piano internazionale che si disvela se si pensa alle polemiche sulla Nato. Ma il prezzo che così si fa pagare all’Europa è altissimo: l’allargasi del dissidio tra Ue e Usa che può portare al disastro per gli effetti tellurici nei confronti della Nato. Si rischia di porre in pericolo tutto l’Occidente nei confronti della Cina e di scatenare i conflitti interoccidentali più paurosi, a iniziare dai Balcani.

La bomba che pochi hanno sentito esplodere, ma che tuttavia è esplosa e con gravi danni, è ciò che è accaduto il giorno prima dell’apertura dei lavori amburghesi. Trump ha fatto il suo primo scalo in Europa non in Germania, ma in Polonia. Una Polonia ancora divisa dall’Ue, dall’affronto che al governo in carica è stato fatto riconfermando Donald Tusk come presidente del Consiglio europeo. Un’offesa incredibile e impensabile in un mondo dominato dalla politica, e non come accade invece oggi in Europa dall’arroganza oligarchico-tecnocratico-teutonica.

Ebbene Trump è andato in Polonia rispolverando le idee di un polacco importante, quel Jozef Pilsudski che negli anni Trenta auspicava un’alleanza tra la Polonia e gli stati centro-europei e quelli baltici in funzione sia anti-tedesca sia anti-russa. Grandi storici come Istvan Bibò e Jeno Szucs hanno scritto pagine memorabili acutissime in proposito, ma tutti quei tentativi fallirono per quello che già Rousseau – incaricato dal principe Wielorski di scrivere la Costituzione polacca -individuò con il suo gigantesco acume: la divisione tra l’aristocrazia polacca incapace di dar vita a uno stato assoluto e a un esercito unico e centralizzato. Noi aggiungiamo che la Polonia era ed à troppo grande e forte per non impensierire i “piccoli stati”, come li chiamava Bibò, del Centro europa per stringere qualsivoglia accordo.

È ciò che accade oggi anche a livello mondiale. Gli Usa sono ancora abbastanza potenti per impensierire tutti i loro potenziali alleati e in primis i russi e i tedeschi. Ma quest’ultimi – a differenza dei russi – hanno con gli Usa un rapporto ineliminabile e inscindibile che si fonda sulla non terminata guerra civile contro la Russia, come dimostrano le sanzioni e l’incomprensione della necessità di un’espansione limitata della Russia post-sovietica oltre i confini non sanciti da nessun accordo internazionale, ma solo dalla volontà di potenza dei Clinton e degli Obama. Gli Usa e la Germania sono destinati a incontrarsi, ma anche a sempre scontrarsi sul piano economico. È inevitabile vista la potenza economica tedesca.

Il Regno Unito non a caso non ha più voluto essere della partita e punta all’anglosfera. Ma anche qui ecco la Cina che gli inglesi pensano di poter contenere e limitare nel delirio di potenza in cui invece essi sono oggi caduti dopo la sconfitta degli eredi di Deng Xiaoping e la vittoria dei neo-maoisti alla Xi Jinping.

Gli Usa sono allora in una impasse pericolosa. Non basta fornire gas liquefatto alla Polonia come hanno iniziato a fare per frenare l’espansione russa e bastonare l’impertinenza tedesca che minaccia con la deflazione ordoliberista anche l’economia Usa. Trump deve convincersi che non vi è alternativa – in un mondo dove tutti tendono appena conquistato un potere regionale a pensare di potersi muoversi da soli – a una politica internazionale di entente cordiale, come fu quella che scaturì due secoli or sono dal Congresso di Vienna.

Tutto era già scritto quando si riunificò di stipulare una nuova Yalta dopo il crollo dell’Urss. La politica neo-imperialista di aggressione alle classi dirigenti mesopotamiche e mediorientali contando sull’alleanza saudita per indebolire anche in quel plesso del potere mondiale le classi dirigenti in cerca di relativa autonomia che potevano trasformarsi in pericoli energetici è fallita. La strategia di distruzione degli stati canaglia inaugurata dai Clinton, proseguita con i Bush e coronata dalle follie di Obama al Cairo e a Teheran (non informando i sauditi prima di imbarcarsi in un cambio di alleanza strategica non meditato e preparato diplomaticamente), quella strategia è fallita. Gli Usa debbono capire che non possono riproporla sotto nuove spoglie (conflitto in Africa o guerra commerciale attraverso la Polonia alla Germania), non possono riproporla in Europa. 

Trump deve essere fedele al suo primitivo e oggettivo messaggio che ha lanciato al mondo per il solo suo porsi: finirla con la deflazione tedesca e gli accordi imperiali che altro non possono essere che tecnocratici, al giorno d’oggi, e ritornare a una politica di grande intese fondate sul principio nazionale e su un neo-protezionismo selettivo che limiti il potere disgregativo e di disintermediazione commerciale e logistico della grande finanza.

Al G20 non si sa di che si potrà discutere in queste condizioni. Ma sarebbe già assai importante se si smascherassero gli imbrogli cinesi di presentarsi come economia di mercato, mentre si arrestano coloro che giocano allo scoperto in Borsa, si assiste alla fuga dei ricchi che scappano perché minacciati da una repressione brutale e che assume le forme di un Behemoth impazzito e senza regole.

Si inizi a pensare a una entente cordiale che permetta alle singole aree di potere di esprimere i propri potenziali con il minimo danno alla pace mondiale e alle situazioni di equilibrio diplomatico possibili.