TERZA GUERRA MONDIALE. Tensione alle stelle tra Usa e Nord Corea. Dopo la notizia che la Nord Corea avrebbe messo a punto una mini-testata nucleare in gradi di equipaggiare con successo i suoi missili balistici, il monito di Donald Trump (risponderemo “con fuoco e furia come il mondo non ha mai visto”) è stato solo parzialmente smorzato dalle dichiarazioni del capo del Pentagono James Mattis. Gli Usa stanno “lavorando a una soluzione diplomatica”, ha detto Mattis, che ha però parlato anche di “fine del regime” e di “distruzione della sua gente” in caso di guerra. Secondo Francesco Sisci, editorialista di Asia Times, la vera novità è che la Cina ha abbandonato Kim. E questo potrebbe davvero significare il via libera alle bombe.



Il programma nucleare della Nord Corea è ad uno stadio più avanzato di quello che si pensava. Dove vuole arrivare Kim Jong-un?

Non abbiamo idea di quali siano i limiti di Kim, questo è il problema, quindi non sappiamo se intenda andare ancora avanti e, nel caso, fin dove sia disposto a spingersi. Forse nemmeno lui lo sa. 



Quindi?

Il problema è fino a che punto la comunità internazionale e in particolare Giappone e Stati Uniti, i paesi più minacciati, siano disposti a tollerare il gioco di Pyongyang. 

Mattis ha parlato di soluzione diplomatica. E’ una strada ancora percorribile?

La Nord Corea fu portata al tavolo delle trattative due volte, nel 2000 e nel 2008, ma le trattative fallirono all’ultimo momento perché qualcuna della parti in causa cambiò idea in corso d’opera. Oggi pare che Pyongyang voglia tornare alle trattative ma non si sa a quali condizioni. D’altro canto gli altri Stati vogliono essere sicuri che Pyongyang non faccia il gioco delle tre carte con le varie parti in causa. C’è molta sfiducia e molta paura nell’aria e tutto si gioca sul filo del rasoio. Ma chiaramente ci sono ancora margini per una trattativa politica.



Mettiamoci per un attimo in Kim Jong-un: che cosa vuole davvero e perché?

Se lo sapessimo con chiarezza metà dei problemi sarebbero superati. Il problema è che non lo sappiamo e lavoriamo sulla base di mere congetture. Sembra che il terzo Kim voglia un posto al sole, cioè un riconoscimento internazionale, e un’assicurazione sulla propria sicurezza.

Che cosa significa concretamente?

La garanzia di non finire come Gheddafi, che rinunciò al nucleare per poi finire bombardato e linciato. Allora il problema forse è: quali sono le garanzie possibili per il paranoico Kim Jong-un?

Perché far circolare l’ipotesi di Guam come primo obiettivo?

Perché probabilmente non vuole perdere il momento. Oggi c’è grande tensione, fervono colloqui sottotraccia, probabilmente Kim vuole continuare a battere il ferro finché è caldo e non vuole perdere la scena a favore di un’altra crisi come quella tra Cina e India nel Bhutan. Una minaccia a Guam, territorio Usa, dà a Kim il primo posto nei media mondiali.

La Cina ha appoggiato le nuove sanzioni. E’ una svolta: Pechino ammette che le condizioni sono cambiate. Questo cosa vuol dire per la Nord Corea?

Innanzitutto significa che la Cina non vuol essere coinvolta neppure per sbaglio in una nuova crisi coreana e dovendo scegliere, sceglie gli Usa contro la Nord Corea. Questo dovrebbe indicare che Pyongyang ha raggiunto un punto di non ritorno. Ma non è detto che non si possa spingere ancora più in là.

Chi ha più da perdere in caso di attacco?

Kim Jong-un sarebbe certamente il maggiore sconfitto, perché senz’altro non sopravviverebbe. Questo ci induce a pensare che Kim, anche quando accelera, ha sempre un piede sul freno. Ma se sbandasse in curva, la sua fine determinerebbe il sovvertimento di equilibri politici in Asia che durano dal crollo dell’Urss, e questo metterebbe in moto una reazione a catena senza precedenti, la cui fine è difficile da prevedere.

Trump ha minacciato “fuoco e furia” contro Kim. Qualcuno ha rilevato che nel momento in cui Trump replica, è già caduto nella trappola di Pyongyang. D’altra parte se non risponde, fa nella sostanza quello che è stato fatto fino ad ora: dà via libera alla Nord Corea.

In realtà Trump è più astuto di quello che sembra: grida molto, parla al suo pubblico che vuole parole forti, ma agisce con grande prudenza. Ed è da mesi alla ricerca di una soluzione politica. Il problema però è trovarla.

Finora la minaccia di colpire Kim è stato il miglior via libera allo sviluppo del suo programma nucleare. Si è ottenuto il contrario della dissuasione. Questo, allo stato in cui siamo, che cosa comporta?

In realtà nessuno ha davvero tracciato una linea nella sabbia. A minacce tracotanti di Kim si è risposto con urla altrettanto tracotanti, ma senza azioni. La politica è ancora alacremente al lavoro, e ci sono ancora speranze. Di fatto però forse siamo davvero più vicini a un conto alla rovescia. Lo vediamo dall’atteggiamento cinese, che dà segno di lasciare il suo vecchio protetto. 

Ma lasciare Pyongyang da sola non è di nuovo una scommessa?

Sì, lo è. Pyongyang andrebbe a una trattativa più facilmente da sola o in compagnia della Cina? Nel 2000 e 2008 lo ha fatto con la Cina seduta accanto, oggi è più sola. Dunque il gioco forse è diverso.

In caso di attacco quale sarebbe la prima mossa di Kim Jong-un?

Bisogna capire che tipo di attacco sarebbe. Ci sono molte opzioni militari in serbo, da quelle minime — colpire istallazioni missilistiche — a quelle massime di un attacco nucleare. Difficile quindi pensare a una reazione nordcoreana se non sappiamo cosa vogliono fare gli Stati Uniti. Di certo se si comincia a sparare rischia di innescarsi una spirale in cui potrebbe essere molto difficile fermarsi a metà strada. Colpi “chirurgici” in queste condizioni sono comunque un azzardo. 

Lei stesso ha parlato di conto alla rovescia.

I militari americani e giapponesi potrebbero ritenere che l’azzardo di un attacco a Pyongyang sia minore di quello di lasciare che Kim vada avanti. 

La crisi può ancora rientrare?

Sì, siamo ancora in uno spazio di trattative. Forse Kim spinge sull’acceleratore perché si sente vicino al traguardo. Ma quale sia il traguardo lo sa solo lui. Per gli altri, oltre alla prudenza resta solo il rischio di prendere un granchio e sbagliare.

(Federico Ferraù)