Le primarie per Camera e Senato che si svolgeranno domenica in Argentina costituiscono il primo severo banco di prova per il Governo di Mauricio Macri a metà del suo cammino politico. Anche se il bilancio può definirsi buono per alcuni risultati raggiunti, la percezione che si ha nella gente è che l’attuale esecutivo possa essere rimproverato per i suoi errori. L’eredità ricevuta dal precedente Governo di Cristina Fernandez de Kirchner è stata pesantissima: casse vuote, clientelismo e una corruzione che a detta di molti è la più importante della storia del Paese. E soprattutto una povertà del 34%, un’economia in crisi e un Paese isolato dal resto del mondo dalle politiche populiste del kirchnerismo.



Risultato è non solo un’inflazione che però recentemente sta diminuendo, ma anche un livello altissimo di disoccupazione, specie nel settore delle costruzioni e dell’informazione, “cavalli di battaglia” della corruzione del precedente Governo. E una sostanziale instabilità che sta frenando l’arrivo di capitali stranieri disposti a scommettere su un Paese dalle enormi potenzialità. L’errore di Macri è stato nel non porre l’accento in modo dovuto sul disastro ricevuto e soprattutto nel non aver saputo spiegare alla gente le ragioni degli aumenti tariffari energetici e nell’aver promesso una lotta alla corruzione che è rimasta molto lontana dal “Mani pulite” made in Argentina auspicato.



Questo per la sostanziale mancanza di decisionismo di stampo repubblicano nell’imporre finalmente quella Repubblica che manca all’Argentina dall’epoca di Alfonsin, con uno Stato finalmente di diritto. Per paura di perdere consensi: in questo stranamente consigliato dal suo guru, il politologo ecuadoriano Duran Barba, suo assessore politico nell’elezione, ma che evidentemente è un fan di Macchiavelli all’ennesima potenza. E così invece di perseguire l’ottenimento di una giustizia indipendente, cardine di una manovra in tempi brevi contro la corruzione, si è preferito resuscitare politicamente una Cristina Kirchner per poterla facilmente “manovrare” a livello elettorale.



Il kirchnerismo, che all’inizio si era dato per spacciato, allontanato pure da un fronte peronista quanto mai diviso, si sta trovando al centro dell’attenzione, nell’attuale tornata politica, nel comico ruolo di oppositore alle politiche “neoliberiste” (secondo loro) di Macri ed ergendosi pure a campione della lotta alla corruzione. Cosa incredibile in altri Paesi, ma non in un’Argentina dove le masse popolari hanno la memoria cortissima e badano esclusivamente al presente senza minimamente curarsi della costruzione di un futuro degno, che però comporta sacrifici.

In caso di elezione (che i sondaggi danno per sicura) a un posto nel Senato, Cristina Kirchner si salverebbe dalla sicura prigione a causa dell’immunità parlamentare: ma sopratutto potrebbe proporsi come leader di un peronismo che, la storia insegna, può ricompattarsi velocemente. In quel caso Macri, che già non dispone di una maggioranza alla Camera e al Senato, verrebbe a trovarsi in serie difficoltà e potrebbe ripetere la triste esperienza del primo Presidente dell’Argentina post dittatura, Raul Alfonsin, che vide spirare il suo sogno Repubblicano con ben 13 scioperi nazionali organizzatigli dal peronismo, che tornò al potere con Carlos Saul Menem nel 1989 per dare inizio a un viceregno (replicato poi dai Kirchner) che, dopo un primo artificiale benessere dovuto a una parità cambiaria con il dollaro che instupidì la classe media, portò il Paese al tragico 2001.