Dodici morti o cento? Il governo tiene basso il numero, l’opposizione punta ad alzare la cifra. Ma la scena è sempre la stessa in Kenia, dopo le elezioni politiche. Chi è dato per perdente, non riconosce i risultati, e chiama il popolo alla ribellione.

Così la vittoria di Uhuru Kenyatta attestato ufficialmente al 54 per cento è contestata dall’avversario storico Raila Odinga. 



Si scontrano non tanto idee sull’avvenire quanto piuttosto etnie, che non parlano neppure la stessa lingua. Ci sono 44 tribù e pesano queste appartenenze e l’acquisizione del consenso non è frutto di entusiasmi ideali, ma di compravendita dei rispettivi leader tribali, con mescolanza di orgoglio patriottico.



Nelle scorse elezioni si era risaputo che Obama aveva mosso i suoi apparati per indurre la vittoria di Odinga, che è della medesima etnia del padre di Barack. Queste pressioni paradossalmente hanno nuociuto all’eterno avversario di Kenyatta. Una saga antica: già il padre era in competizione con il genitore di Kenyatta, storico leader della decolonizzazione con ambizioni di socialismo non marxista.

Le riforme hanno aperto prospettive soprattutto per le imprese straniere, ma esistono aperture positive ad azioni di sviluppo e a politiche di sviluppo dell’educazione scolastica e della sanità.



Kenyatta, presidente uscente, miliardario d’impronta liberale, era dato per vincitore sicuro, appoggiato da tutte le grandi potenze bisognose di non avere sorprese in un mondo già abbastanza caotico. Del resto le varie commissioni internazionali di controllo non hanno rilevato brogli. Ma non c’è nulla da fare. Pare un destino inesorabile. L’Africa anche quando ha acquisito, come in Kenia, tradizioni democratiche, conserva una brutalità alimentata dalla povertà degli slum, le poverissime baraccopoli delle periferie di Nairobi, dove basta l’equivalente di un dollaro per comprarsi un manifestante.

Vedremo se il fuoco della rivolta troverà chi versa benzina o se prevarrà la mano tesa di Kenyatta che offre a Odinga un governo di unità  nazionale. Un atto di saggezza. Nel 2007, una presidenziale contestata, in cui Raila Odinga era stato dichiarato battuto, degenerò in scontri che provocarono più di 1.100 morti e 600mila sfollati interni. 

Particolare di iper-modernità. Odinga sostiene che i risultati sono stati alterati da un hackeraggio filo governativo. La settimana scorsa era stato trovato morto, con tracce palesi di tortura, il responsabile della rete informatica predisposta per le elezioni. Da qui i sospetti. Da qui una sommossa tribale post-moderna.