TERZA GUERRA MONDIALE. Nell’interessante intervista a Francesco Sisci sulla questione nordcoreana si trova ripetuta una fondamentale domanda, alla quale è difficile rispondere con chiarezza: cosa vuole veramente Kim Jong-un e quali sono i suoi reali obiettivi?
Nell’altra “crisi nucleare”, quella con l’Iran, gli obiettivi sembrano molto più delineati. Al di là delle minacce di distruzione di Israele e degli anatemi contro il “Grande Satana” (gli Usa), dal dibattito interno tra gli esponenti del regime teocratico traspare un concreto realismo. Le posizioni più oltranziste stanno per ora arretrando e perfino alcuni aspetti del regime teocratico cominciano a essere messi in discussione, pur con una certa comprensibile cautela. L’obiettivo del regime, probabilmente condiviso da gran parte degli iraniani, è comunque chiaro: la definitiva conferma dell’Iran come Paese guida e difensore della minoranza sciita, in un mondo musulmano a maggioranza sunnita, e la riaffermazione del suo ruolo di potenza locale in Medio Oriente. Malgrado le resipiscenze di Trump sugli accordi firmati da Obama, l’Iran sta diventando un interessante partner economico non solo per alleati storici come Russia e Cina, ma anche per Paesi occidentali e diverse società americane.
Nulla di simile per la Corea del Nord, diventata una potenza nucleare, ma a costi enormi per la sua popolazione, economici e sociali. Sisci avanza l’ipotesi che Kim voglia un riconoscimento sulla scena internazionale e, come in un mercato dei buoi, alza la voce per ottenere condizioni migliori. Trump risponde con proclami che ricordano il mussoliniano “spezzeremo le reni alla Grecia”, ma si sa come andò a finire. Almeno da questa parte sarebbe auspicabile l’utilizzo di toni più responsabili, ma forse Trump pensa che siano utili per rispondere ai suoi problemi interni. Sembra tuttavia probabile che nessuno dei contendenti voglia arrivare alle vie di fatto, dato il rischio di trasformare lo scontro in una catastrofe nucleare. Non a caso, accanto all’opzione militare, da parte americana viene anche sostenuta l’opportunità di riprendere i colloqui diplomatici e ciò, significativamente, per voce del responsabile della difesa, Jim Mattis, ex generale dei marines. Ma chi potrebbe rendere possibile questa ripresa di contatti e portare i colloqui a qualche risultato se non Pechino?
Finora la Corea del Nord è stato un peso economico per la Cina, ma è servita ad attenuare l’attenzione sulle sue politiche espansionistiche. E’ così che si è arrivati a un sostanziale via libera di fatto alla militarizzazione delle isole artificiali nel Mar Cinese del Sud. E a poco serve ora inviare navi da guerra americane nei dintorni. Ancora più sorprendente è che gli Stati Uniti non abbiano reagito alla penetrazione cinese in Venezuela, detentore delle maggiori riserve petrolifere al mondo, come nota Mauro Bottarelli nel suo articolo sulla guerra economico-finanziaria tra Usa e Cina. E si possono aggiungere i recenti accordi di Pechino con Panama, che hanno portato lo Stato centroamericano a rompere i rapporti con Taiwan.
Comunque si risolva, la questione nordcoreana sarà un successo per la Cina: se si arriverà a un accordo, sarà merito di Pechino, se malauguratamente si arriverà a uno scontro, la responsabilità sarà degli Stati Uniti. Ciò spiega la distanza presa nei confronti di Kim, diventato ormai meno utile e potenzialmente pericoloso. E’ quindi credibile che Kim pensi ora a se stesso, piuttosto che al suo stesso regime, memore di quanto accaduto a Gheddafi, come ricorda Sisci, e voglia assicurarsi una inattaccabile via di fuga. In questa ipotesi, senza Kim Jong-un, la Corea del Nord diverrebbe totalmente un satellite cinese, anche sotto il profilo politico, con riflessi notevoli sui Paesi circostanti. Le conseguenze sarebbero particolarmente serie per la Corea del Sud, che nei prossimi giorni ospiterà esercitazioni congiunte con gli americani — 40mila militari coinvolti — molto criticate da Pechino e fonte di possibili pericolosi incidenti con la Corea del Nord.
Vi è poi un altro “favore” che gli Stati Uniti stanno facendo ai concorrenti cinesi. Come nota Bottarelli nel suo articolo, il vicepresidente Mike Pence sta facendo un giro di promozione di una Nato in funzione antirussa. Con Mosca occupata a fronteggiare la Nato, Pechino potrà procedere più liberamente nella sua strategia di espansione su un altro fronte: quello verso le repubbliche asiatiche ex sovietiche.
La Cina sta quindi seguendo con molta lucidità una ben precisa strategia, ma rimane incomprensibile la strategia degli Stati Uniti, e dell’Europa al loro seguito, almeno per un semplice osservatore come me.