La provincia siriana orientale di Deir Ez Zor è il centro nevralgico dell’industria estrattiva del petrolio che costituisce la principale fonte economica del paese. Il fiume Eufrate che divide Deir Ez Zor in due parti (al-Shamiya e al-Jazeera, rispettivamente situate a nord e a sud del fiume), favorisce una fiorente attività agricola lungo il suo corso. Non è strano quindi che la sua enorme potenzialità economica abbia catalizzato l’attenzione interessata di tutti i vari attori della guerra siriana, compreso il califfato di al Baghdadi. 



Ma nonostante questi “appetiti”, gli eventi sono andati in un’altra direzione rispetto alla “inevitabile” capitolazione: lo stato islamico nonostante abbia tentato continuamente di sopraffare le difese governative di Deir Ez Zor — come aveva già fatto con facilità con altre città molto più grandi come Mosul, Raqqa o Ramadi —, e nonostante nei i vari tentativi abbia perso più di 5mila uomini, non è riuscito finora ad avere la meglio sulla guarnigione dell’esercito siriano che difende il capoluogo. 



Per questo l’Isis è furibondo la sua reazione forsennata. Il durissimo assedio imposto dai terroristi sui civili è senza precedenti: la popolazione è sottoposta a continui attacchi e a massacri terribili; essa sopravvive solo grazie agli aviolanci effettuati quasi quotidianamente dall’aviazione russo-siriana. Tali aiuti però sono insufficienti, tanto che tra i 100mila abitanti si sono registrati alcuni morti per fame. Alla scarsità di cibo si aggiunge la scarsità di medicine e l’assenza completa di elettricità, acqua e combustibile.

A difendere il centro abitato e l’aeroporto separato dal resto della città da un lembo di terra in mano ad Isis, ci sono gli uomini appartenenti alla 104esima brigata aviotrasportata comandata da un uomo ormai leggendario tra i siriani, l’eroico generale Issam Zahreddine. La resistenza dalla guarnigione da lui comandata — secondo le ultime stime circa 5mila uomini contro almeno 14mila miliziani dell’Isis — ha dell’incredibile: questi uomini non hanno dovuto resistere “solo” alle autobombe e ai continui assalti dei terroristi, ma anche alle proditorie azioni aeree dell’operazione Inherent Resolve sfacciatamente tese ad avvantaggiare il califfato (pur di portare nocumento ad Assad). Una nota merita anche l’infamia delle ultime sanzioni decise dall’Unione Europea contro il generale Zahreddine.



Su tutte queste azioni ostili, ricordiamo l’attacco aereo della coalizione avvenuto il 17 settembre 2016 contro le forze governative che ha condotto all’attuale sfavorevole situazione. Non meno gravi la distruzione dell’unica centrale elettrica della città, gli attacchi aerei sui ponti e sulle infrastrutture e l’aver facilitato l’esfiltrazione dei terroristi da Mosul e Raqqa verso Deir Ez Zor. Si capisce bene che se l’agenda occidentale fosse continuata secondo l’originario disegno e l’Isis avesse prevalso, la vendetta sui civili e sui soldati siriani sarebbe stata atroce: in definitiva, la vicenda di Deir Ez Zor riassume il problema dell’intervento straniero in Siria. 

Però provvidenzialmente, tramite un accordo tra i vari attori della guerra siriana, si è potuto decidere il destino all’area, prima che la parola passasse alle armi: sembra infatti che sia stato stabilito un accordo segreto tra Usa e Russia su Deir Ez Zor (ed in genere sul nord della Siria) per evitare di ostacolarsi a vicenda o addirittura entrare in conflitto durante l’imminente tentativo di liberazione della città. 

Sembra quindi che l’intenzione iniziale degli Stati Uniti di liberare le aree petrolifere occupate dall’Isis autonomamente tramite le proprie milizie affiliate e poi stabilire un protettorato sia stata accantonata. Ma più che una “gentile concessione”, sembra che tale svolta sia dipesa dalla celerità dell’avanzata delle forze siriane, che hanno colto di sorpresa e preceduto le forze filo-Usa del Syrian Democratic Forces (presentando così il fatto compiuto). 

Attualmente l’avanzata siriana si sta sviluppando su tre direttrici: 1) la prima prosegue a sud-est di Raqqa verso Deir Ez Zor: le forze “Tigre” del generale Hassan avanzano ora per la preparazione della liberazione della cittadina di Ma’dan ( a circa 60 km da Deir Ez Zor), che rappresenta l’ultima città in mano all’Isis nella provincia di Raqqa ad ovest delle Eufrate; 2) la seconda direttrice segue il saliente di Palmyra in mezzo al deserto. Al momento le forze governative e le forze alleate degli sciiti — supportate dall’aviazione russo siriana — hanno liberato la città di  al Sukhnah che rappresenta l’ultimo grande ostacolo fino a Deir Ez Zor; 3) la terza direttrice passa  invece a sudovest di Abu Kamal per chiudere ad Isis i rifornimenti che passano attraverso il confine iracheno.  

Intanto, come azione di supporto, più a sud l’esercito siriano e gli alleati sono in procinto di riconquistare la località di Al-Kawm. Riconquistando tale località, le forze governative chiuderanno in una sacca tutto il territorio in possesso ad Isis a nord di Hama. Se Isis vuol evitare in tale zona di ritrovarsi circondato, dovrà  iniziare a ritirarsi verso nord: ciò consentirebbe ai governativi di liberare enormi risorse per l’ultima grande battaglia contro Isis a Deir Ez Zor. Tuttavia è plausibile che Isis immagini una simile mossa e lasci i propri uomini lì dove sono. In sostanza, siccome l’area della sacca è molto grande, permette comunque un certo margine di manovra e soprattutto consente di non liberare forze governative e di farle convergere in toto su Deir Ez Zor. La cosa più probabile è che l’Isis adotti la stessa strategia correntemente usata contro le forze siriane che avanzano per liberare Deir Ez Zor: renderà la conquista dell’area lenta, costosa in termini di risorse e vite umane, disseminando il territorio di trappole esplosive (Ied), utilizzando autobombe, alternando attacchi improvvisi e ritirate. Queste azioni ritarderanno l’avanzata ma ciò che si può dedurre è che la più grande e decisiva battaglia anti-Isis è imminente.