Le primarie per Camera e Senato di domenica scorsa in Argentina hanno chiarito una volta per tutte che il Paese ha voglia di dare un taglio deciso con il passato e incamminarsi verso un sentiero repubblicano che possa, con il tempo, dargli quella stabilità che manca da più di 40 anni. Il partito Cambiemos di Mauricio Macri ha difatti trionfato con il 36% delle preferenze contro il 20% del kirchnerismo e dei suoi alleati, il 17% del peronismo, il 7% del Massismo, e il 6% del Fronte dei lavoratori. Come i lettori del Sussidiario sanno, la vera incognita di questa tornata elettorale era constatare le condizioni del kirchnerismo e soprattutto della sua leader, l’ex Presidente Cristina Kirchner, che si ripresentava come candidata a senatrice della Provincia di Buenos Aires e già si dava per sicura vincitrice con ampio margine nella competizione contro il candidato di Cambiemos nel medesimo distretto, il ministro della Pubblica istruzione Esteban Bullrich. Invece, dopo che i primi exit pool la davano addirittura sconfitta con un margine di 6 punti, l’ex mandataria ha ridotto le distanze fino a un sostanziale pareggio con pochi voti di scarto (34,19% contro 34,11%) a favore del suo avversario. Una sostanziale sconfitta che però, come nello stile pinocchiesco di Cristina, è stata trasformata in una vittoria nelle sue roboanti dichiarazioni. I dati però le permetteranno essere eletta a senatrice e quindi, attraverso l’immunità parlamentare, evitare i vari processi nei quali è invischiata e, come l’ex Presidente peronista Carlos Saul Menem, il carcere a cui probabilmente era destinata.



Il fatto è che, come sempre capita con il voto cartaceo, il conteggio necessita di verifiche e non può ritenersi completo fino al completamento delle stesse, cosa che però ha scatenato la fantasia della Kirchner che ha subito parlato di frode elettorale. Il bello è che proprio il suo partito si era opposto a suo tempo a quel voto elettronico che avrebbe permesso di terminare il processo di spoglio quasi in tempo reale. Altro dato clamoroso è che il kirchnerismo ha perso sonoramente nel suo feudo storico, la patagonica Provincia di Santa Cruz, ridotta dalle sue politiche clientelari, nonostante le sue immense riserve energetiche, a una copia economica del Venezuela. 



Insomma, se l’attuale situazione dovesse venire confermata, non solo dalle verifiche, ma sopratutto dal voto definitivo del 22 di ottobre, Macri disporrebbe di numeri più alti nelle due Camere e finalmente potrebbe mettere in azione il suo progetto repubblicano senza quei tentennamenti e gli errori che hanno contraddistinto i primi due anni del suo mandato. Adesso non ci sono più scuse: bisogna passare dalle parole ai fatti e lì ci si potrà rendere conto finalmente se l’Argentina potrà avere un futuro. Dopo un primo periodo di risultati con segno negativo, sintomo di una pesante eredità lasciata dal kirchnerismo soprattutto nelle casse dello Stato e anche di errori nelle politiche che hanno generato alti tassi di inflazione, le cifre iniziano a dimostrare un segno positivo e l’occupazione ha ripreso a marciare. 



Ma occorre con urgenza mettere in marcia un cambiamento nella giustizia che possa dare inizio non solo alla lotta contro la corruzione promessa dal Presidente, ma anche alla creazione di uno Stato di diritto che possa mettere in ordine un Paese e permettergli di vivere una Repubblica tanto sperata e attesa. Per questo il peronismo dovrà decidersi una buona volta per tutte se crescere e trasformarsi in un partito responsabile di stampo repubblicano oppure ripetere quella filosofia ampiamente figlia del fascismo che pretende, quando non al potere, di impedire ad altri di gestirlo e che ha avuto nel kirchnerismo l’ala più oltranzista e totalitaria (oltreché corrotta) della storia del Paese. I numeri li ha e anche la divisione e l’isolamento dal kirchnerismo costituiscono un ottimo segnale sulla volontà di creare un sistema di potere condiviso attraverso politiche di Stato permanenti a qualsiasi schieramento politico al potere. 

Il gioco ora passa nelle mani del Presidente e del suo entourage nel quale si rivela la figura dell’attuale Governatrice della provincia di Buenos Aires, Maria Eugenia Vidal. Donna di una decisione e di un coraggio estremi che, a rischio della propria vita, ha operato dei cambiamenti epocali nel maggior distretto del Paese, non solo per la sua lotta contro la corruzione nella polizia, ma anche per lo sviluppo di iniziative atte a cambiare la qualità della vita delle persone nella zona più popolata dell’Argentina sempre vittima di politiche clientelari e corrotte portate avanti dal peronismo. C’è da scommettere (e sperare) di vederla nel 2019 approdare alla Casa Rosada.