ATTENTATO A BARCELLONA. Era dal marzo 2004 che la Spagna non subiva l’attacco del terrorismo islamista. Ma erano tempi diversi: l’allora strage alla stazione ferroviaria di Madrid era il frutto del coinvolgimento del paese in Afghanistan, nella guerra contro Al Qaeda, e infatti ottenne il risultato del ritiro immediato delle truppe spagnole. Oggi è la jihad, e fino ad adesso la Spagna non era stata toccata, proprio come l’Italia, dal terrorismo. Tutte le modalità con cui si è svolto l’attentato di Barcellona facevano pensare all’Isis e l’Isis, nella serata di ieri, ha rivendicato: il furgone che si è schiantato sulla folla, come a Londra, a Nizza e a Colonia, era guidato da un affiliato dello stato islamico. Inoltre il luogo prescelto, il chiosco sulla Rambla, era un piccolo ristorante ebraico chiamato Maccabi. I terroristi hanno così preso due piccioni con una fava, colpendo i cittadini occidentali e l’odiato Israele. Per il generale Mario Mori, intervistato da ilsussidiario.net, “è l’ennesima dimostrazione che nessun paese in Europa è al sicuro, Italia compresa. Si tratta di iniziative di singoli suscitate dall’invito a colpire da parte dell’Isis che nessuno può prevedere”. Le persone schedate in quanto possibili autori di attentati da parte dei vari sistemi di intelligence europei, dice ancora Mori, “sono migliaia, andrebbero sorvegliate singolarmente tutti i giorni, ma è evidentemente impossibile farlo”.
L’attentato di Barcellona ha tutti i crismi dell’attentato islamista, come quelli già visti. E’ stato scelto un paese che da tredici anni non subiva attentati, per dirci che nessuno è al sicuro?
Certamente. Teniamo conto che le forme operative di terrorismo attuale non sono più quelle dei grandi attacchi come quello del 2004. Ci dicono che è più difficile per le forze di sicurezza poterli prevenire. E’ tutto in mano all’iniziativa dei singoli, iniziative che possono succedere ovunque e in qualsiasi momento. Bisogna poi tenere conto del ritorno in Europa dei foreign fighters, gente orientata a questi attacchi. Anche noi in Italia corriamo questo rischio, nessuno ha mai smentito che siamo anche noi nell’occhio del ciclone.
Iniziativa dei singoli certamente, ma c’è anche una strategia dietro a queste iniziative? Qualcuno deve aver detto che era ora di colpire un paese risparmiato, dunque con un livello di sicurezza più basso?
Più che strategia è un invito. Le formazioni terroristiche islamiche sollecitano le iniziative dei singoli e il problema per loro diventa trovare qualche persona orientata a queste iniziative. Che ci sia una regia o no non importa, uno ruba una macchina e si getta sulle persone e fa una strage.
Ci potrebbe essere stata una falla nei servizi di sicurezza a livello europeo?
Personalmente ritengo che oggi e con lo stato attuale delle istituzioni europee la collaborazione fra le intelligence dei vari paesi sia a livello massimo. Certo, se avessimo un ministero dell’interno a livello europeo si potrebbe fare di più. Ma abbiamo buone forze di polizia, specialmente quella italiana. Il problema questo tipo di attentati così difficilmente prevedibili è che le persone che li potrebbero fare sono tante.
Abbiamo qualche stima al proposito?
In Francia le persone ritenute pericolose sono 12mila e di queste 4mila sono considerate in grado di fare attentati. Non pensiamo ai film di 007 ma guardiamo la realtà. Per controllare 4mila persone ogni singolo giorno quante persone ci vogliono? E’ impossibile farlo. Ogni polizia fa delle scelte su parametri che ritiene di dover valutare e applicare, a volte va bene e magari non veniamo nemmeno a saperlo, a volte va male come successo a Barcelllona.
Come accennava prima, c’è poi il problema dei foreign fighter che tornano a casa.
Certamente, anche se studi approfonditi sul fenomeno ci dicono che queste persone hanno il cervello quasi del tutto sfatto, non sono in grado di connettere. Ma sicuramente un 20 per cento di queste persone sono potenzialmente in grado di colpire.
(Paolo Vites)