Sì alla missione italiana in acque libiche. Ieri il via libera è arrivato nelle commissioni Esteri riunite di Camera e Senato, dove Pd e Forza Italia hanno votato a favore. Oggi toccherà alla Camera. Non un blocco navale ma una missione di sostegno della marina italiana alla guardia costiera libica, nel rispetto della sovranità di Tripoli, ha detto ieri la ministra della Difesa Roberta Pinotti. “Se i trafficanti di migranti reagiranno con le armi di fronte al blocco della via del mare — ha aggiunto Pinotti — l’autodifesa dei nostri militari è sempre lecita”. La missione italiana viene incontro alla richiesta di supporto formulata il 23 luglio scorso in una lettera al governo dal premier tripolino Fayez al Serraj e si affianca al codice di comportamento per le Ong, che sette organizzazioni non hanno però sottoscritto, sfidando in tal modo il governo italiano. “La missione di supporto alla guardia costiera libica e il codice delle Ong sono due importanti test politici — spiega a ilsussidiario.net Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa —. Il governo è chiamato a dimostrare che l’Italia ha una sua sovranità e che ha una politica migratoria che cura gli interessi nazionali. Ora, alla vigilia di un test elettorale decisivo come quello del 2018, i mezzi ci sono, si tratta di applicarli”.
In pieno accordo con la Libia, hanno tenuto a precisare i ministri Pinotti e Alfano ieri in Commissione.
Certo. In accordo con un governo libico che riconosciamo e appoggiamo anche in un’ottica di frizione con la Francia per l’influenza sulla Libia. Inutile nasconderselo, questo va detto.
Ne è sicuro?
Sì, perché l’accordo di Parigi ha in qualche modo legittimato Haftar. E infatti Serraj, consapevole di questo, domenica scorsa da Parigi è volato direttamente a Roma per chiedere una mano all’Italia, senza aspettare un minuto di più.
Che missione sarà?
Dovrà essere una missione a basso profilo, perché mettere troppo in evidenza il ruolo dell’Italia vorrebbe dire rendere ancora più debole al Serraj, il player più fragile dello scenario libico. Sia Haftar che Khalifa Ghwell hanno milizie proprie, invece Serraj deve appoggiarsi su forze che gli vengono accordate dalle fazioni che lo sostengono.
Ma è una missione che ha i requisiti per funzionare quando si arriverà al dunque?
Sì. La guardia costiera libica, pur con i suoi pochi mezzi, in questi mesi ha fermato e riportato indietro 10mila migranti illegali e l’Unhcr ne ha fatti rimpatriare 5mila. Si tratta di mettere in scala questo sistema. I migranti devono sapere che saranno soccorsi in acque libiche ma torneranno in Libia. Il governo italiano ha l’opportunità di far passare un nuovo principio: se si toglie a chi parte la certezza di arrivare in Europa, si scoraggiano le partenze abbattendo i flussi. E il numero di chi perde la vita in mare.
E sul fronte delle Ong?
Il codice di comportamento rompe l’accordo di fatto tra Ong e trafficanti, più volte denunciato dalla guardia costiera libica. Ma il nostro governo deve farlo rispettare, consentendo alle Ong che accettano queste regole di continuare a fare il loro lavoro, di cui c’è da auspicare che non ci sia più tanto bisogno: perché se l’accordo con la Libia funziona, i migranti verranno riportati indietro.
E le sette Ong che non hanno firmato l’accordo?
Va loro negata l’autorizzazione ad entrare nelle acque nazionali. Se invece si facesse loro solo un controllo del patentino di navigazione, vorrebbe dire che il governo italiano subisce ancora forti pressioni dalle organizzazioni che muovono e incassano miliardi nel business dell’accoglienza e dei soccorsi. Ripeto, è un test di capacità dell’Italia di dimostrare la propria sovranità.
Chi è da adesso in poi il generale Haftar? Un alleato o un ostacolo?
Non è un ostacolo, però noi, a differenza dei francesi, abbiamo giocato in maniera pulita e ne paghiamo le conseguenze. La Francia ha riconosciuto Serraj come tutti, ma ha garantito un supporto di tipo militare alle forze di Tobruk in modo da tenere i piedi in due staffe. Questo ha reso sicuramente Macron l’uomo giusto per organizzare un incontro di mediazione.
Siamo stati ingenui?
Io sono convinto che l’Italia avrebbe potuto spingere di più per avere la rappresentanza dell’Onu in Libia. E forse avremmo potuto anche noi giocare in maniera più scaltra con Haftar. Detto questo, gli interessi strategici dell’Italia sono in Tripolitania, lì c’è il terminal di Mellitah, da lì partono i migranti. Che dopo l’incontro di Parigi Serraj sia venuto a Roma, vuol dire che siamo il suo più importante amico rimasto. E a noi conviene continuare a sostenerlo.
Perché Serraj si è deciso solo ora a chiedere l’aiuto dell’Italia?
Perché ha scoperto che i trafficanti, tutti vicini a gruppi islamisti, sono sponsor del suo rivale Khalifa Ghwell, l’ex premier di Tripoli che ha dalla sua parte le milizie islamiste dei Fratelli musulmani. Evidentemente si è reso conto che la situazione era rischiosa per lui e ha deciso di rompere gli indugi.
E se la missione fallisse?
Sarebbe il nostro harakiri. Per questo spero che il governo, che ora fa mostra davvero di difendere gli interessi nazionali, abbia il supporto delle opposizioni. La missione è obiettivamente un cambio di passo. Non dimentichiamoci che Gentiloni ha cominciato a cercare una soluzione seria al problema migranti solo dopo che il Pd ha perso le elezioni amministrative. Se falliamo, rischiamo perfino di essere messi fuori da Schengen.
(Federico Ferraù)