Solitamente i personaggi che vengono “incoronati” uomo o donna dell’anno e che appaiono in televisione o sulle copertine dei magazine di tutto il mondo sono politici, gente dello spettacolo, anche figure controverse. Succede invece che una piccola suora ugandese venga inserita tra “gli eroi dell’anno”, le cento più importanti personalità più influenti al mondo dal settimanale americano Time. È successo nel 2014, ma Rosemary Nyirumbe è stata anche nominata eroe dell’anno nel 2006 dalla Cnn e ha ricevuto molte altre onorificenze da università e associazioni varie. «Mi sento una modella», dice ridendo vivacemente quando le chiedo di scattare una foto insieme alla fine dell’intervista, aggiungendo che «tutti questi riconoscimenti non hanno cambiato la mia vita di una virgola». Suor Rosemary è al Meeting di Rimini per la prima volta, porta a tracolla una delle sue famose borsette fatte con linguette di lattine di Coca Cola e intrecciate a mano con strisce di tessuto dalle migliaia di ragazzine e donne soldato, obbligate dal cosiddetto Signore della Guerra, il sanguinario Joseph Kony, ugandese, a uccidere anche i propri famigliari in un massacro durato anni e anni. Migliaia di bambine rapite, schiavizzate come oggetti sessuali, brutalizzate psicologicamente per farle diventare donne soldato. Lei è andata a cercarle una per una con un lavoro di accoglienza, recupero e riscatto personale, insegnando loro l’arte di cucinare e cucire, ma soprattutto insegnando loro a recuperare il rispetto per se stesse. Oggi le borse delle ex bambine soldato vengono comprate dalle star di Hollywood anche per 5mila dollari l’una. Al Meeting parlerà oggi di questo e anche del suo libro pubblicato finalmente anche in Italia, “Cucire la speranza, Rosemary Nyirumbe, la donna che ridà dignità alle bambine soldato” (prefazione di Toni Capuozzo, Editrice Missionaria, 240 pp., 17,50 euro).
Il titolo del Meeting parla di eredità dei nostri padri da riguadagnare per possederla. Noi in Occidente facciamo di tutto per dimenticare e cancellare il nostro passato, che significato ha invece per una persona nata e vivente in Africa?
Mi piace molto il titolo del Meeting. Il passato è importante, rappresenta un ponte da attraversare, un ponte che passa su un fiume o su una difficoltà, ma il ponte ci permette anche di tornare indietro e questo è la tradizione per me. Il passato non va dimenticato se vogliamo crescere, quello di buono deve continuare e quello che non va bene può essere rifatto. Se penso ai miei genitori o ai miei nonni io guardo a loro pensando a cose che oggi non andrebbero bene, ma devo guardare alle dinamiche che erano dietro di loro e che oggi possiamo cambiare in positivo. Pensiamo alla tradizione come qualcosa di vecchio da dimenticare, ma è importante guardare al passato per imparare a vivere l’oggi.
Da tempo milioni di persone fuggono dalla guerra in Sud Sudan e arrivano in Uganda, com’è la situazione?
È una situazione difficoltosa, sono tanti, è difficile ma allo stesso tempo è una situazione che ci incoraggia. Siamo pronti a condividere con loro quel poco che abbiamo, l’Uganda è un Paese aperto, non diciamo di no anche se sono troppi. La gente condivide quel poco che ha. L’ospitalità è una cosa importante, è ricchezza, accettare la gente è un bene prezioso anche dal punto di vista economico. E poi dobbiamo sempre pensare che potrebbe arrivare un giorno che toccherà a noi una sorte del genere.
Queste sue parole fanno pensare a come invece l’Europa fa di tutto per chiudere i propri confini e rimandare indietro i tanti che fuggono proprio dall’Africa a cercare salvezza da noi.
Lo dico da tanto tempo, non è giusto fermare i migranti. Dobbiamo invece chiederci: perché vengono? Bisogna dare loro un posto dove si sentano di nuovo esseri umani. È sbagliato pensare sia un problema africano, l’Africa è parte dell’umanità. A queste persone poi non bisogna dare una sistemazione permanente, ma temporanea. Scoprire le ragioni della loro situazione, perché fuggono. L’Europa è nella posizione di aiutare l’Africa a scoprire le ragioni del suo disagio, quindi vanno accettati pensando a un piano per tornare alle loro case. Pensare cioè a un futuro permanente a casa loro e non temporaneo di rifugiati altrove.
Tra i tanti episodi che colpiscono della sua esperienza, c’è quello di una ex soldatessa da lei accolta che viveva un profondo disagio fino a quando le ha detto che era stata obbligata a uccidere la sorella. Quanto è difficile accettare di essere perdonati e soprattutto perdonare se stessi?
Il caso di questa ragazza è davvero doloroso, fu costretta a scegliere tra l’essere uccisa o uccidere la sorella. Capisco perfettamente quello che ha vissuto, e per questo le dissi che Dio perdona tutti, Dio non pone un limite al perdono. Quando penso a ragazze come lei rimango sempre colpita da come fino a poco prima usavano armi per uccidere e adesso creano cose che rimettono insieme la loro vita come gli oggetti che producono. Dio non ti perdona oggi o domani, lui ha già perdonato tutti, altrimenti perché è morto in croce? Ha perdonato tutti una volta per sempre e questo ci permette di ricominciare ogni volta daccapo.
Lei è diventata famosa in tutto il mondo per aver avuto l’idea di creare borse e oggetti con rifiuti, cose buttate via. Che idea c’è dietro a questa intuizione?
L’idea che dietro a tutto questo c’è la dignità del lavoro. Il lavoro inteso come situazioni in cui sono coinvolto personalmente a creare. Se prendo della spazzatura od oggetti buttati via, e mi concentro a farne qualcosa di bello, anche la mia vita viene ricreata come quegli oggetti che prendono nuova forma. A queste persone che hanno perso tutto dico: guarda la tua vita, è a pezzi e questi sono pezzi che la gente butta via. Se giorno dopo giorno con passione e difficoltà puoi creare qualcosa di bello è così anche per la tua vita, la stai ricostruendo nella bellezza. Dalla spazzatura si possono creare tesori, ed è così anche per la nostra vita.
(Paolo Vites)