One è un film che racconta qualcosa di cui si parla poco. Da quando ha debuttato in Spagna alcuni mesi fa, spesso chi lo guarda dice: “Non sapevo nulla di tutto questo”. Nella più grande democrazia del mondo c’è ancora un rigido sistema di caste. Per questo la minoranza cristiana, che osa affermare un’effettiva uguaglianza tra gli indiani, è perseguitata. Nel mio documentario raccolgo la novità implicita nel cristianesimo in India, la testimonianza di coloro che credono in mezzo alla persecuzione.



Il cristianesimo è la nuova religione in India, la religione della libertà. Ho girato nelle baraccopoli di Delhi e ho raccolto le testimonianze dei convertiti, dei dalit (i senza-casta) che lasciano l’induismo e abbracciano il cristianesimo, cercando una vita migliore, e perdono gli aiuti sociali. Il 60% dei cristiani è composto da dalit, che non hanno diritti 70 anni dopo l’indipendenza. La maggior parte di loro non può visitare i templi. Quando vedono che qualcuno li ama, gli fa sperimentare la libertà, gli dice che sono figli di Dio, è come se a un prigioniero venisse aperta la cella. Diventano cristiani perché vedono uno spazio tra le sbarre. In un recente documento della Conferenza episcopale dell’India (Policy of Dalit Empowerment in the Catholic Church in India, 2016) si assicurava che ci sono chiare prove che mettono in evidenza come lo Stato non sia riuscito a costruire una socialdemocrazia in India. Il neo-liberalismo, la nuova ideologia economica dello Stato, ha ulteriormente impoverito i dalit.



L’India, il Paese con il numero più grande al mondo di giornali inglesi per tiratura, con il maggior numero di canali televisivi di informazione economica e generale, il grande fornitore globale di servizi, grazie alla buona formazione di parte della sua popolazione, il subcontinente che funge da vivaio di grandi esperti in software e servizi finanziari, che forse diventerà la prima economia mondiale in soli due decenni, non ha libertà religiosa. Cambiare religione, soprattutto dall’induismo al cristianesimo, è molto difficile.

La conversione è limitata non solo dalla pressione sociale e politica, ma anche dalle leggi. In sei Stati le Freedom of Religion Acts limitano la libertà religiosa sancita dall’articolo 25 della Costituzione del 1950. Le leggi anti-conversione impongono fino a tre anni di carcere se il nuovo cristiano è stato costretto, sedotto o indotto a cambiare religione. E tutto può rientrare nella seduzione: citare un passaggio della Bibbia o fare un gesto di carità possono essere considerati atti di seduzione.



Gli ostacoli giuridici che limitano le conversioni sono stati approvati dalla Corte Suprema. La situazione è peggiorata con l’arrivo al potere nel 2014 di Modi, leader del Bjp, che all’estero appare come promotore della modernità. Modi è un nazionalista indù che tollera la violenza per limitare la libertà dei cristiani. Gli attacchi alle chiese e le cerimonie di riconversione forzate sono sempre più frequenti.

Il documentario è girato anche nel distretto di Kandhamal, nell’Orissa dove nel 2008 c’è stato un attacco genocida, con l’intento di “ripulire” dai battezzati una grande area. Questo documentario è girato a Nuova Delhi; a Bhubaneswar, la grande città dell’induismo; e nelle giungle dell’Orissa, vicino al Golfo del Bengala. Raccoglie i volti e le storie di persone semplici (la stragrande maggioranza dei battezzati in India sono paria) che hanno trovato nel cristianesimo un modo di vivere più umano. Molti spiegano perché hanno abbracciato la nuova religione e abbandonato la vecchia. Altri raccontano le ingiustizie subite e le ragioni che permettono loro di essere fedeli al credo della croce. Il film dà voce anche ai nazionalisti indù che giustificano le politiche di discriminazione.