Oggi al Meeting di Rimini ci sarà un’interessante tavola rotonda su “Quando le religioni generano una speranza: il Papa in Egitto”. Interverranno Sayed Mahmoud Aly, Direttore Editoriale di Al-Ahram, già Vice Direttore del settimanale Al-Kahera; Mostafa El Feki, Direttore della Biblioteca di Alessandria; Javier Prades López, Rettore dell’Università San Dámaso di Madrid. A introdurre il dibattito Wael Farouq, Professore di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si tratta di un tema di grande attualità che abbiamo voluto approfondire incontrando il giornalista e poeta Sayed Mahmoud Aly, importante esponente della cultura egiziana.



Cos’ha significato per l’Egitto la visita del Papa?

La visita del Papa è stata un regalo soprattutto per il momento in cui è avvenuta, dopo due gravi attentati che hanno ferito il Paese. È stata una gioia che ha colmato i cuori del popolo egiziano e ha dato un messaggio di pace e tranquillità. Il terrorismo diffonde il terrore e nel momento del terrore c’è bisogno di un uomo di religione, di spirito grandioso come Francesco. Anche per le istituzioni dello Stato egiziano la visita è stata un grande dono perché dopo questi attentati il Papa con la sua visita ha mandato un messaggio al mondo che l’Egitto voleva il Papa e non è un posto pericoloso. Io ho sperato tantissimo che il Papa venisse e non cancellasse la visita.  



Quale conseguenze permangono ancor oggi?

Nel nostro tempo è difficile per un uomo di religione occupare lo spazio pubblico, i media, l’attenzione generale. Il Papa in Egitto ci è riuscito. Tutto e tutti parlavano di lui, soprattutto grazie ai social network, media non di qualcuno o legati a chissà quali interessi, ma liberi, fatti di persone ordinarie, del popolo. Lì abbiamo letto un grandissimo affetto per il Papa. I musulmani e i cristiani si sono congratulati a vicenda per questa visita, perché è stato un momento di gioia per tutti. Hanno realizzato che, come è patrimonio della cultura popolare egiziana, è vero uomo  religioso e quindi è persona che porta la benedizione, porta il bene. E lo si capisce anche da testimonianze, da piccoli miracoli accaduti alla gente normale. 



Per esempio?

Un esempio è stato quello di una signora che stava passando vicino al percorso che faceva il Papa, senza sapere che lì vicino passava Francesco. Gli agenti di polizia la bloccano e lei rimane molto turbata dalla loro reazione molto forte nel fermarla. Il Papa arriva le pone la mano sulla spalla e le dice “stai tranquilla”. Lei poi ha detto che la sua vita prima era piena di problemi, ma dopo quel gesto del Papa tutti i problemi sono spariti. Tante storie del genere stanno girando. Vere o non vere che siano dicono di come il popolo vede nel Papa uno che realmente porta benedizione, bene per tutti. Inoltre, gli egiziani sono stati colpiti dalla povertà del Papa della sua semplicità, cioè l’hanno sentito come uno di loro. Infine, la sua visita ha fatto nascere la diplomazia dello spirito che nulla a che fare con la tradizionale diplomazia fatta di compromessi tra interessi e poteri. Il Papa parla direttamente al cuore del popolo, punta diritto al cuore di ogni uomo e al loro cambiamento.

La violenza che non si è ancora placata che scopo ha?

Lo scopo della violenza e del terrorismo è far vedere al mondo un Egitto instabile, ma soprattutto far sentire al popolo egiziano l’insicurezza, la paura, la divisione, la sfiducia verso lo Stato in modo tale da creare terreno fertile per gli estremisti. Facciamo un grande errore quando guardiamo i cristiani come parte staccata dal popolo egiziano, come l’occidente afferma: non è vero! Anche gli estremisti fondamentalisti che negano il cristianesimo non possono togliere dalla loro esperienza personale un rapporto che nella loro vita sicuramente hanno avuto con un cristiano come vicino, come compagno a scuola, come collega. La presenza dei cristiani in Egitto non è un’idea, ma è esperienza di popolo, di una cultura che penetra tutti gli aspetti della vita quotidiana. E poi i cristiani hanno dato un grande contribuito alla cultura egiziana, con autorevoli personaggi. Così come le famiglie che giocano un ruolo importante nell’economia egiziana. Poi la presenza con i loro ospedali, con le loro scuole che sono aperte a tutti: il 90% dei loro studenti sono musulmani, inclusa mia figlia. L’Isis non è riuscito a mettere il Paese nelle divisioni e in guerra colpendo prima di tutto i cristiani, come in Iraq e in Siria. 

Come ama ricordare Wael Farouq, per vincere l’odio e il terrorismo occorre una presenza: è così anche per lei?

Sono molto d’accordo, perché abbiamo sperimentato proprio con la visita del Papa che la presenza genera speranza e certezza di sé, pace interiore, e allontana le paure e le divisioni che nel vuoto vincono.

Il cardinale Jean-Louis Pierre Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, a proposito della violenza, dell’intolleranza, del terrorismo, ha affermato: “le religioni non solo il problema, ma sono parte della soluzione” Cosa ne pensa?

Sono assolutamente d’accordo. Un uomo di fede non può essere intollerante. Anche diversi versetti del Corano affermano questo concetto. Gandhi diceva un concetto analogo. Possiamo arrivare da diverse strade, ma ci sarà sempre una piazza che ci farà stare insieme.

Qual’è la strada per uscire da questo terrore e per la pacifica convivenza tra musulmani e cristiani?

Ognuno rispetti l’altro, vi sia rispetto vicendevole. Dobbiamo amare la libertà dell’altro.

Infine, sulla questione Regeni si arriverà ad una soluzione?

È difficile rispondere a questa domanda rispetto ai fatti, ma credo che il ritorno dell’ambasciatore italiano in Egitto sia un passo importante per arrivare alla verità. Alla verità si arriva nel dialogo, nella collaborazione e nella comprensione reciproca. Il dolore del popolo egiziano per Regeni è un dolore vero. Non solo il popolo italiano è stato sconvolto da quei fatti, ma anche il popolo egiziano ha vissuto quegli eventi con grande dolore. Non è solo una richiesta del popolo italiano, ma anche il popolo egiziano vuole capire il crimine che ha diffamato l’Egitto tanto è vero che i media egiziani non sono stati meno duri di quelli italiani nella ricerca della verità.