Se vi dicessimo così: “la Sharia non è diversa dal cattolicesimo, la legge islamica dovrebbe essere consentita”, potreste prenderci per un imam o un fondamentalista musulmano intento a mettere sullo stesso piano la cultura e il diritto cristiano con quello coranico. Bene, peccato che a dir così in Australia in questi giorni non sia stato un soggetto del genere, bensì Gillian Triggs, celebre attivista ed ex commissario per i diritti umani nel paese australiano. In una intervista al Daily Mail Australia la scorsa settimana, Triggs ha affermato che il sistema giuridico islamico non ha nulla di diverso dai diktat cattolici del Vaticano: anzi, ha detto di peggio, «Ci sono vari modi in cui la legge religiosa colpisce la vita privata delle persone, le opinioni del Vaticano influenzano la vita dei cattolici in questo paese ad esempio», ha concluso l’ex commissario dei Diritti Umani, in tour in questi giorni per tutta l’Australia con il senatore laburista, e di origine iraniano, Sam Dastyari. Il tema rilanciato dalla Triggs riguarda in particolare modo l’emblema del divorzio; «i tribunali della Sharia islamica sul divorzio dovrebbero essere ammessi nel nostro Paese. Se si tratta di un diritto privato all’interno delle comunità musulmana e vogliono gestire i loro affari in questo modo e credono in queste regole, è ragionevolmente accettabile».
L’ESTREMISMO DEL MULTICULTURALISMO
In poche parole, un sistema che vede il minor valore per la figura della donna e l’assoluto peso della decisione solo a vantaggio del marito dovrebbe essere accettato nella democratica Australia perché si tratta di un sistema “non così tanto diverso da quello cattolico”. Inutile dire come le parole dell’ex commissario hanno fatto tuonare alcune realtà della Chiesa stessa, e altre figure della cultura australiana che da tempo denunciano l’eccessivo dilagare del multiculturalismo “schiacciato” sulle minoranze, specie quelle islamiche, a svantaggio dell’identità stessa del Paese australiano. Va in questa direzione il divieto di burqa proposto da Paulina Hanson (One Nation Party), ma i mass media e l’establishment liberal australiano ha attutato una vera e propria levata di scudi contro “il divieto che ci renderebbe tutti meno australiani, sarebbe un’offesa verso tutto il Paese”, sono le parole della stessa prof. Triggs. Purtroppo gli estremi ormai incontrollati del “multiculturalismo” liberal hanno dato numerosi spunti di fortissima discussione sul fronte religioso-sociale-culturale.
Ad esempio, a maggio 2017 l’Associazione nazionale della sanità pubblica australiana (PHAA) ha chiesto al Comitato permanente congiunto per gli Esteri, la Difesa e il Commercio del Parlamento australiano di «includere nel suo rapporto una raccomandazione che sconfessi l’idea che non esiste alcun nesso intrinseco fra l’Islam e il terrorismo. (…) Il Comitato dovrebbe condannare qualsiasi politico che faccia riferimento in modo discriminatorio (espressamente o tacitamente) a qualsiasi gruppo etnico o religioso per fini politici», come riporta L’Opinione nel suo speciale sui rischi dell’islamismo in Australia. Spesso i media e i funzionari australiani si affrettano a dichiarare che il terrorismo islamico non ha niente a che fare con l’Islam, eppure uno stesso musulmano – lo psichiatra Tanveer Ahmed – ha avuto di recente l’ardire di denunciare pubblicamente quanto segue, «Nonostante le origini del terrorismo abbiano molteplici fattori, i terroristi islamici, che sono efferati come le loro azioni, spesso fanno semplicemente ciò che dicono le scritture». Il problema resta, dato che non tutti i musulmani sono terroristi, ovviamente: resta a nostro avviso però pericoloso che in nome di un “dialogo multiculturale” si arrivi a definire la sharia islamica che limita e molto le libertà di donne, minori e altre religioni come “simile” alla dottrina canonica cristiana.