TERZA GUERRA MONDIALE. Un altro missile. Questa volta il vettore di Kim Jong-un ha sorvolato il territorio giapponese alle 22.57 ora italiana (5.57 locali) ed è caduto in mare non lontano dall’isola giapponese di Hokkaido. Il premier Shinzo Abe ha subito aperto il consiglio di sicurezza nazionale. Dopo il bluff dell’attacco di ferragosto contro l’isola americana di Guam, la Nord Corea dunque ha deciso, in una cinica scommessa al rialzo, di mettere nuovamente a repentaglio il delicatissimo equilibrio del mondo. Ci siamo ormai abituati a pensare che una provocazione di Pyongyang valga l’altra. Un grave errore, spiega Francesco Sisci, editorialista di Asia Times.



Eppure c’è un precedente.

Sì: nel 1998, quando Cina e Giappone erano in ottimi rapporti, un missile nordcoreano sorvolò le isole nipponiche. La borsa di Tokyo crollò, proprio come accadrà stamane, da qui a poche ore. 

E Kim lo sa.

Questa volta si tratta di un indubbio salto qualitativo. Stavolta ha tirato il Giappone per i capelli. Nelle crisi provocate da Kim, Tokyo era sempre presente, ma sullo sfondo. Ora non più. Adesso è al centro della scena. E subisce un danno diretto. Soprattutto, non è più il Giappone del ’98.



Vale a dire?

E’ un Giappone più militante, più deciso. Ma anche più fragile. Nel ’98 la sua economia era più grande di quella cinese, oggi è molto più piccola. I rapporti tra Cina e Giappone sono peggiorati, anche a causa delle isole Senkaku.

Resta la domanda: perché questo attacco?

Dare una risposta univoca non è possibile: vorrebbe dire poter interpretare Kim con certezza. Possiamo solo unire i puntini. C’è un fatto inequivocabile: poche ore dopo che Cina e India hanno annunciato il ritiro delle truppe dal Doklam, la Nord Corea ha effettuato il lancio. 

Quindi l’obiettivo politico è la Cina.



Esattamente. Kim ha strattonato la Cina. O meglio: si può pensare che stavolta abbia usato il Giappone per non essere abbandonato dalla Cina. Un calcolo cinico, mostruosamente azzardato. 

Fino a quando Kim Jong-un tirerà la corda?

Non possiamo saperlo. Ma stavolta potrebbe essersi spezzata.

C’è del calcolo in questa follia?

Certo. Kim non vuole la guerra. Però ha la paranoia del bandito che, essendo isolato, non riesce a calcolare del tutto la forza degli altri. Ha pensato di tutelarsi giocando d’azzardo, al buio, con Pechino. 

E Xi Jinping come vede questa situazione?

Xi è l’ultimo a volere una guerra. Anch’egli è perfettamente consapevole di quello che diceva, in questo a ragione, il defenestrato Steve Bannon: chi pensa a un’azione contro la Nord Corea deve mettere in conto l’eventualità di milioni di morti. 

Anche a Seul fanno questo calcolo.

Ne fanno anche di peggiori: meglio 2 milioni di morti oggi che 20 milioni domani. E’ triste e cinico? Lo è. Ma questi conti li si è fatti in passato, e li si fa oggi.

Dovrà farli anche il regime di Pyongyang.

Ecco, proprio qui potrebbero aver fatto un errore di valutazione. Potrebbero aver agito sulla base del precedente del ’98, non rendendosi conto che la situazione mondiale è completamente mutata rispetto ad allora.

E’ paradossale. Si rischia una guerra che nessuno vuole: né la Cina, né la Nord Corea, né la Sud Corea né il Giappone.

Uno manca all’appello: Donald Trump. Anche il presidente americano è in una situazione paradossale. Certamente non vuole la guerra, però adesso la guerra gli potrebbe convenire. Potrebbe salvarlo politicamente.

Governare per lui è sempre più difficile.

Proprio per questo. I militari prenderebbero in mano la situazione, consentendogli di tirare il respiro e di continuare a navigare. 

(Federico Ferraù)