Quando, a fine ottocento, si abolì la tratta degli schiavi africani, ci volle tutto l’impegno militare inglese per riuscirci. “Oggi il fenomeno è lo stesso” dice al ilsussidiario.net il giornalista e studioso egiziano Sherif El Sebaie, “quella dei migranti è una nuova tratta degli schiavi e quanto deciso al vertice di Parigi fa ben sperare che dopo anni in cui si sono chiusi entrambi gli occhi su un fenomeno che ha coinvolto trafficanti di uomini, di droga, di prostituzione e di terrorismo, adesso si giunga a una svolta anche militare ormai necessaria”. Importante, ha aggiunto, anche la svolta dell’Italia che ha ripreso a dialogare con l’Egitto nelle ultime settimane, “cosa che si spera porti all’apertura di un dialogo con l’altra Libia, quella del generale Haftar. Se si vuole la stabilizzazione della regione non è più possibile ignorarlo”.
Secondo quanto deciso al vertice di Parigi, forze militari europee saranno posizionate in Ciad e Niger per controllare il flusso di migranti, paesi dove la presenza francese è già forte. Che cosa ne pensa? Può essere una forma di neocolonialismo nascosto?
Trattandosi di forze militari europee che arriveranno con il consenso-assenso dei governi di quei paesi, come dimostrato al vertice, non parlerei di neo colonialismo. Direi piuttosto che questi paesi ritengono di non avere le forze necessarie per gestire il fenomeno che ha preso le dimensioni da una mafia transnazionale. Paesi come la Libia che sono in grande difficoltà presumo potranno essere coinvolti anche loro, se non con l’invio di truppe, con quello di esperti in grado di coordinare e aiutare le forze locali.
La Libia, appunto. Nessuno ha detto che a Parigi mancava il generale Haftar, rappresentante di quella Libia che nelle scorse settimane ha minacciato di prendere a cannonate le nostre navi se si fossero avvicinate alle coste. Eppure Macron ha definito “perfetto” l’impegno italiano con la Libia.
L’approccio italiano sulla Libia forse solo nelle ultime settimane sta cominciando a diventare interessante, nella misura in cui Roma ha ripreso i rapporti con l’Egitto. Alfano giustamente ha detto che è strategico questo rapporto per la stabilizzazione della regione e il riferimento era apertamente ad Haftar. Questo ritorno alla normalità dei rapporti con l’Egitto lascia ben sperare che si apra un canale di dialogo con Haftar che come è ben noto è un alleato del Cairo. La linea italiana deve andare in quella direzione, prendere atto che ci sono altri attori in Libia con cui bisogna collaborare.
Il ritorno del nostro ambasciatore al Cairo in Italia però è stato giudicato negativamente, per via del caso Regeni ancora aperto.
Credo che ultimamente si sia preso atto che per quanto riguarda la questione Regeni bisogna cambiare approccio e la scelta di ritirare l’ambasciatore sperando di forzare la mano di un caso che non poteva essere risolto in poche settimane, probabilmente neanche anni, è stata una mossa controproducente.
Il presidente del Ciad ha auspicato che quanto deciso a Parigi significhi per i paesi africani anche un ritorno economico. Si parla da sempre di aiutare queste popolazioni a casa loro, ma è sempre rimasta un’utopia, adesso cambierà davvero qualcosa?
Il fatto è che l’Europa si sta rendendo conto che il fenomeno migranti ha assunto dimensioni che possono travolgere gli equilibri e che qualcosa si deve fare. Questo ci fa sperare che ci siano rapporti più fruttuosi nei confronti dei paesi africani. Ma anche una rivisitazione dei meccanismi con cui si accede legalmente in Europa. Oggi è difficile entrare in Europa legalmente, i visti per studio e turismo si danno difficilmente e questo porta a un mercato clandestino.
Nella zona subsahariana esiste ormai una realtà paramilitare organizzata e potente. L’impegno sul posto richiederà tempi lunghi?
Dopo anni di abbandono dell’attenzione, chiudendo gli occhi, si è permesso la nascita di un traffico che si combina con altri interessi come droga, prostituzione, terrorismo. E’ normale che ci vorranno anni per ottenere dei risultati.