MIGRANTI. E’ dovuto intervenire Mattarella per scongiurare una crisi di governo e ricomporre, almeno all’apparenza, la frattura Minniti-Delrio sul codice di condotta delle Ong, riassunta da Alfano con la formula del “derby tra sicurezza e diritti umani”. Il Quirinale ha scelto nettamente la prima, lodando l’operato di Minniti. Nel frattempo, Gentiloni ha invocato l’intervento dell’Onu in Libia. Ha perfettamente ragione di farlo, spiega Gian Micalessin, inviato di guerra del Giornale.
La missione in Libia divide il nostro governo.
La frattura tra Minniti e Delrio si era già vista prima della missione, quando Minniti aveva proposto di chiudere i porti e Delrio aveva risposto il giorno dopo sul Corriere dicendo in un’intervista che assolutamente no, queste cose non si fanno e non si possono fare.
Ci sono due anime insomma.
Sì. Una è interpretata da Minniti, che guarda ai problemi dell’Italia, l’altra è ancora legata alla vecchia struttura ideologica del cattocomunismo: siamo qui per salvare tutti. E così, di fronte alla prima proposta efficace di Minniti il governo si è inevitabilmente diviso.
Ma Mattarella ha chiuso l’incidente.
Lo spero, anche se non lo credo. Delrio nell’arco di un mese ha preso posizione due volte contro il ministro dell’Interno. E’ chiaro che c’è uno scontro aperto. Vuol dire che il governo sta in piedi per un soffio.
Delrio dice di non essere contro il codice delle Ong, ma che nemmeno si possono lasciare le persone in mare.
Nessuno intende farlo. Ma in questo modo, aprendo a tutte le Ong, deroga al regolamento stabilito dal governo di cui fa parte e non propone soluzioni alternative, anzi legittima il servizio taxi che ha fatto dell’Italia l’unico approdo dei clandestini di un continente.
Cosa si tratta di fare?
C’è un codice di condotta per le Ong. Chi vuole lavorare con i migranti deve rispettarlo.
Perché l’invio di due navi militari è risultato così controverso?
Perché in Libia il governo cosiddetto legittimo è costruito con il manuale Cencelli: c’è un leader che non conta nulla, un esecutivo che sta in piedi per miracolo e nel quale sussistono mille anime. Al Mejbari, il vicepresidente che ha criticato la missione italiana, da un lato è considerato vicino ai Fratelli musulmani, dall’altro è stato un esponente di quelle forze di “protezione” delle strutture petrolifere facenti capo a Ibrahim Jadran che hanno bloccato per anni le esportazioni di petrolio dalla Libia.
Ma chi è più forte in Tripolitania?
Le milizie che si sono arricchite con il traffico di uomini. Questa è l’incognita: se e in che misura si riuscirà a contenere un’eventuale rivolta di queste milizie.
Il governo italiano ha un canale aperto anche con Haftar?
C’è un tentativo di aprirlo, ma è un canale che per ora non promette di funzionare a dovere perché il nostro governo ha lavorato bene negli accordi con Tripoli, ma non altrettanto con Tobruk e con i suoi protettori: Russia, Egitto ed Emirati Arabi.
Dove sta il problema?
Negli errori che abbiamo accumulato dal 2014 ad oggi. Con l’Egitto ci vorrebbe più realpolitik perché il caso Regeni ci ha molto danneggiato. Con la Russia c’è il problema delle sanzioni, sulle quali il nostro paese non è riuscito a smarcarsi dalla Ue. Poi gli Emirati: i due viaggi di Renzi promettevano miracoli ma si sono rivelati episodi senza seguito e i rapporti si sono raffreddati.
L’Eni che cosa sta facendo?
Fa la sua politica e guarda soprattutto alla Tripolitania perché da lì arriva gran parte del nostro greggio. Ma non si può fare a meno di guardare alla Cirenaica, avendo bene in mente i possibili sviluppi di medio e lungo periodo.
Cosa significa?
Quando si andrà a votare, se mai si tornerà a votare in Libia, la maggioranza silenziosa della Tripolitania, che è anti-islamista ma in questi anni ha accettato il dominio silenzioso delle milizie islamiste di Misurata, sicuramente non sarà felice di chi ha appoggiato il governo attualmente in carica e ha lasciato che elementi islamisti continuassero ad operare all’interno dell’attuale esecutivo libico.
Gentiloni ha invocato l’intervento dell’Onu. Ha fatto bene?
L’Onu predica bene ma è assente dalla Libia dal 2014; l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) continua a darci lezioni sull’accoglienza, ma in Libia non c’è e opera dalla Tunisia. Detto questo, sarebbe fondamentale che le Nazioni Unite fossero sul terreno.
E perché, se queste sono le premesse?
Perché quando le motovedette libiche inizieranno a riportare indietro in maniera massiccia i migranti, il grosso problema sarà dove metterli ed è allora che si scatenerà la polemica. La Libia non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati e pertanto il governo libico non ha alcun obbligo.
(Federico Ferraù)