Il paese è in preda a una gravissima crisi umanitaria, più del 60 per cento della popolazione è a rischio alimentare e quasi due milioni di bambini soffrono di grave denutrizione. Questa situazione, insieme alle distruzioni causate da più di due anni di guerra, favorisce la recrudescenza di una già gravissima epidemia di colera: solo negli ultimi tre mesi si sono avuti 400mila casi sospetti di colera e ad esso sono collegate almeno 1900 morti. E’ questa la denuncia di ciò che sta accadendo in Yemen fatta alla fine di luglio dai responsabili di tre agenzie Onu: Unicef, World Food Programme (Wfp) e World Health Organisation (Who). Altre fonti Onu parlano di 3 milioni di rifugiati su 19 milioni di abitanti e di 10mila morti a causa della guerra, in gran parte civili. Inoltre, il blocco da parte dei sauditi delle zone controllate dai ribelli Houthi e dai loro alleati impedisce l’arrivo dei necessari soccorsi.
Da tempo ormai agenzie dell’Onu e Ong condannano le modalità di conduzione della guerra da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. I bombardamenti indiscriminati con l’impiego di “bombe a barile” causano un gran numero di vittime tra i civili e da più parti si parla di veri e propri crimini di guerra. Human Rights Watch ha recentemente denunciato il coinvolgimento degli Emirati Arabi Uniti, alleati dei sauditi, nella gestione di carceri in cui si pratica la tortura contro sospetti appartenenti ad al Qaeda e Isis, con circa 2000 persone sparite. Ad alcuni di questi interrogatori hanno partecipato militari americani, ma il Pentagono nega il loro coinvolgimento negli atti di tortura. Il fatto che gli Stati Uniti siano al corrente di queste procedure rappresenta di per sé una violazione delle convenzioni internazionali. Violazioni dei diritti umani sono state peraltro attuate anche da parte dei ribelli.
L’avventura in Yemen sta diventando problematica per gli Stati Uniti, come traspare da un articolo del New York Times che, nel riportare le dichiarazioni dell’Onu, definisce la guerra “una catastrofe”. Il NYT ammette che la catastrofe è iniziata sotto la precedente presidenza, ma precisa che Obama ha cercato di frenare i sauditi, pur senza risultati concreti. Piena invece la responsabilità di Trump che ha tolto ogni freno, approvando la politica di Mohamed bin Salman, il principe ereditario saudita responsabile della conduzione della guerra. L’autore dell’articolo è Nicholas Kristof, un giornalista noto per la sua strenua difesa dei diritti umani.
Lo Yemen sta diventando quindi un problema soprattutto per i progressisti e l’articolo chiude con l’osservazione che in Yemen gli americani si stanno comportando come i russi, da loro tanto criticati per la complicità con il regime di Assad. La soluzione sarebbe come sempre un accordo di compromesso tra le varie parti in causa e per raggiungerlo sarebbe necessario il blocco dei rifornimenti militari all’Arabia Saudita. E’ da notare che l’ultima proposta di Trump sulla vendita di armi ai sauditi è stata approvata in giugno con una stretta maggioranza di 53 a 47 senatori. Secondo una tabella riportata dal NYT, sono una ventina i Paesi che vendono armi a Riyadh, ma nel periodo 2012-2016 gli Stati Uniti hanno contribuito per il 52%, seguiti dal Regno Unito con il 27%.
E da un giornale inglese, The Spectator, viene un pesante attacco all’alleanza di Usa e Uk con l’Arabia Saudita. L’autore, John Bradley, ritiene assurdo che governi impegnati contro il terrorismo collaborino strettamente con il regime saudita wahabita, sponsor neppure tanto nascosto di molte formazioni estremiste islamiche. Altrettanto illogica è la politica contro l’Iran, attivo nella lotta contro al Qaeda e Isis, e Bradley ricorda che tra gli attentatori delle Torri Gemelle non vi erano iraniani, ma cittadini sauditi.
Bradley lancia anche una provocazione nel dibattito sulle armi nucleari e, riferendosi alle reciproche minacce di guerra tra Israele e Iran, si chiede perché il primo possa avere la bomba atomica e l’altro no. In effetti, da chi è fuori dal club nucleare la questione viene vista un po’ come nella canzone di Jannacci: “Vengo anch’io? No tu no. Ma perché? Perché no”.
A parte strumentalizzazioni politiche o ideologiche, sembrerebbe che alcune delle tante “stranezze” dell’attuale geopolitica comincino ad essere messe in discussione. Anche in modo imprevedibile, se corrisponde a realtà quanto riportato dal sito inglese Middle East Eye sulla volontà del citato bin Salman di porre fine in qualche modo alla guerra nello Yemen e, addirittura, aprire rapporti con l’Iran. L’ipotesi è basata su una serie di mail pervenute al sito, quindi da prendere con le pinze, né controllabili, ma l’articolo di MEE pone in luce alcuni punti interessanti. Per esempio, non è impensabile un approccio più pragmatico e meno ideologico da parte del principe ereditario, come già dimostrato in altre occasioni. Così come è probabile che la coalizione si sia trovata di fronte a un’impresa più lunga e difficile del previsto e che i costi stiano ora diventando troppo pesanti, aggravati dalla crisi del prezzo del petrolio. Dall’altra parte, anche tra le file dei ribelli si stanno verificando divisioni che potrebbero sfociare in aperto conflitto, complicando ulteriormente la situazione.
Un ripensamento della strategia da parte di Usa e Uk potrebbero forse portare davvero alla fine di questa sciagurata avventura, da cui per il momento sembra trarre vantaggio solo l’Iran.