Alta tensione in pausa a causa del referendum sull’indipendenza catalana previsto per il 1 ottobre. Da Barcellona nessun passo indietro, nonostante la decisione della Corte Costituzionale spagnola, che ha sospeso il decreto di convocazione della consultazione. Il presidente della generalità di Catalogna, Carlos Puigdemont, è stato denunciato insieme ad altri dirigenti canali per disobbedienza, abuso di potere e malversazione di denaro pubblico per i costi del referendum, ma ieri ha accusato Madrid di voler fare tutto, «tranne che politica». Dal Baix de Llobregat, cuore dell’are metropolitana di Barcellona a forte tendenza indipendentista, Puigdemont ha spiegato che la questione non riguarda la possibilità di votare o meno. «Lo Stato ha mobilizzato le sue risorse, ha polverizzato la separazione dei poteri, strumentalizzato le istituzioni dello Stato perché sia chiaro che noi non possiamo votare».



GLI “ALLEATI” DI MADRID IN CATALOGNA

Alcuni grandi comuni hanno fatto sapere di non voler concedere i locali municipali per la realizzazione del referendum, motivo per il quale lo scontro tra Madrid e Barcellona sta raggiungendo livelli altissimi. Una situazione senza precedenti, che mette in forte difficoltà le istituzioni catalane, fino alle stesse forze di sicurezza. Ada Colau, sindaca di Barcellona, si è opposta alla richiesta di Puigdemont di mettere a disposizione i locali per la celebrazione del referendum. E, come riferisce El Pais, così anche altri sei comuni catalani con più di 100 mila abitanti. Altri 654 comuni di piccole dimensioni invece collaboreranno costante il divieto delle autorità di Madrid. «Coloro che parteciperanno a un referendum illegale dovranno accettarne le conseguenze», ha dichiarato ieri sera Inigo Mendez, il portavoce del governo di Madrid. Ancor più dura Maria Dolores de Cospedal, ministra della Difesa: «In Catalogna non ci sarà nessun tipo di referendum per l’autodeterminazione».

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