URAGANO IRMA. PORT-AU-PRINCE (Haiti) — L’alba del giorno dopo è sempre un momento particolare, che si vive in un misto di sollievo e paura. Sollievo perché alla luce del giorno finalmente l’attesa finisce e si può passare all’azione, paura perché — sembrerà incredibile — ma certi disastri sono peggio nella realtà che nell’immaginazione.



Haiti ne ha conosciuti tanti di disastri in questi anni: gli uragani e le inondazioni del 2004, del 2006, del 2008, il terremoto del 2010, di nuovo l’uragano dell’anno scorso. Ogni volta c’è stata un’alba da attendere, e ogni volta il giorno è tornato a spuntare. Anche per chi ha corso meno rischio, comunque, l’alba del giorno dopo è un momento di sollievo e di paura insieme.



Così è stato. L’uragano Irma è ormai lontano, è chiaro che non è stata la catastrofe attesa e temuta per Haiti, non siamo di fronte ai mille morti dell’anno scorso, ma comunque si contano i danni, e sono ingenti.

La campagna inondata della piana di Cap Haitien e del dipartimento del Nord Est appare come una distesa d’acqua piatta e immobile, le piantagioni irriconoscibili, i raccolti definitivamente persi; il mare cupo e scuro dopo la mareggiata dei giorni scorsi comincia appena a ritirarsi, lasciando dietro di sé le città sconvolte. Le acque che finalmente cominciano a rifluire restituiscono ovunque detriti di ogni genere, i canali ne sono ingombri, le strade anche. 



I voli di ricognizione testimoniano una situazione difficile e a tratti critica, atterrare oggi al Nord è ancora impossibile, ma chi deve essere sul posto c’è già: sapendo quale situazione si sarebbe potuta verificare, ci si è portati laggiù ben prima dell’uragano ed ora è già possibile una timida mobilizzazione. 

Il bilancio dell’uragano, ancora provvisorio, parla di 2 morti e una ventina di feriti, oltre 12.500 persone nei rifugi provvisori, quasi 5mila case inondate di cui oltre la metà distrutte o gravemente danneggiate. In tutto contiamo 8mila famiglie che non potranno fare ritorno alle loro case e necessitano di una soluzione alternativa. Come sempre in queste situazioni, sono i bambini e gli anziani che colpiscono di più, per lo sguardo impaurito e inerme che hanno di fronte alla loro vita nuovamente sconvolta. 

Proprio sui bambini, l’équipe di Avsi insieme all’équipe del ministero degli Affari sociali sta conducendo una valutazione della situazione: oltre 1.600 bambini sono stati evacuati dagli orfanotrofi del nord, e la metà ancora oggi non possono farvi ritorno. Ugualmente diverse scuole delle comunità rurali sono danneggiate e il nuovo anno scolastico non potrà cominciare. 

Al momento la situazione più urgente sembra essere quella delle case. 8mila famiglie nei rifugi significa 40mila persone senza casa, da alloggiare e da sfamare. Come sempre sono le famiglie più povere ad essere maggiormente colpite: chi vive in case costruite con materiali poveri, nei quartieri meno sicuri e più esposti, o nelle comunità sulle pendici delle montagne, dove il diboscamento è più forte e dove la pioggia e gli smottamenti hanno fatto più danni. E’ difficile vedere un futuro per queste famiglie oggi: non c’è più casa, non ci sono più i campi, le scuole sono chiuse e inagibili. La comunità si muove con i mezzi che ci sono, i pasti caldi cominciano ad arrivare, anche qualche materiale per rendere i rifugi meno difficili da vivere, ma in un paese povero come Haiti non si può sperare in molto di più e i bambini rischiano di dormire sui pavimenti dei rifugi di fortuna ancora per tante, troppe notti. 

A quattro giorni dall’uragano, dopo quattro notti in rifugio, i bambini ancora non hanno ritrovato la voglia di giocare. Guardano il fango che ricopre le strade e fissano la campagna là dove le loro case sono scomparse, portate via dal vento o schiacciate sotto la pioggia, e non hanno molto da dire. C’è però molta motivazione nello staff sociale di Avsi e dei nostri colleghi di tante organizzazioni della comunità del Nord che lavorano con noi: la situazione ci appare grave ma non disastrosa, vediamo i contorni di questa calamità e vedendoli non ci sentiamo schiacciati e impotenti come tante volte ci è accaduto in passato. Sentiamo viva e forte la speranza di poter fare la differenza, vediamo le cose da fare e siamo fiduciosi di saper trovare le risorse necessarie a far fronte almeno alle prime necessità, per ridare normalità a questa gente, che oggi si sveglia sotto il cielo ancora grigio, ma che vede già un po’ di sole all’orizzonte.