ATTENTATO A LONDRA. Non sappiamo ancora chi sia il terrorista artigianale che ha seminato il terrore nella metropolitana di Londra, per fortuna senza fare morti. Un riflesso condizionato ci fa subito pensare all’Isis, a una vendetta per le sconfitte subite sul campo che spingono sempre di più il califfato a tornare alle origini, al terrorismo. Ed in effetti così è: l’Isis ha rivendicato.
Ma c’è qualcosa di diverso. Ragioniamo a mente fredda: siamo di fronte a un terrorista che lascia in un vagone della metropolitana una busta del supermercato con una bomba dentro, e scappa. Lo può fare chiunque abbia imparato su Internet a costruire una bomba rudimentale, tanto amatoriale da aver fatto pochi danni. È la forza del “metodo Adnani”, ideato dal geniale numero due e portavoce dell’Isis, Abu Mohammad al-Adnani, ucciso in un raid aereo americano del 2016. Anziché cercare terroristi nelle sorvegliatissime moschee radicali, Adnani insegnava a mettersi con calma dietro a un computer, cercare immigrati o figli di immigrati disperati che odiano il mondo sbraitando sui social network o eccellendo in videogame violenti – meglio se musulmani poco osservanti, desteranno meno sospetti – e orientarli lentamente a vendicarsi della società con gli attentati.
Sì, è la forza di un metodo nuovo, ma è anche la sua debolezza. Per sopravvivere un’organizzazione terroristica non ha bisogno solo di compiere attentati. Gli serve una narrativa, una poesia, una storia da raccontare che farà orrore alla maggioranza ma sedurrà sempre un pugno di rivoluzionari sognatori.
Lo studioso norvegese Thomas Hegghammer ha curato una raccolta di saggi appena uscita da Cambridge University Press, Jihadi Culture: The Art and Social Practices of Militant Islamists. Hegghammer e i suoi coautori rivelano un dato a prima vista sorprendente: almeno fino a qualche tempo fa, prima che le sconfitte lo riducessero ai minimi termini, lo stato islamico si preoccupava di promuovere una sua arte e una sua musica. Qualcuno si potrebbe chiedere se, in mezzo a una lotta per sopravvivere, il califfato potesse permettersi il lusso di dedicarsi alla musica o alle belle arti. Ma la domanda misconosce la natura profonda dello stato islamico, che ha attirato volontari da tutto il mondo. Questi non erano attirati solo da considerazioni politiche, forse neppure o non soltanto da motivazioni religiose.
Leggendo le biografie dei volontari, non si può fare a meno di scorgere – specie fra gli europei, molti dei quali non nati musulmani – un atteggiamento romantico, la ricerca della “bella morte” che richiama il Manifesto del futurismo: “E noi, come giovani leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci, che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante”. Il califfo non parlava di croci, e forse non aveva mai letto Marinetti, ma aveva inteso perfettamente come avesse bisogno di proporre un’epopea continuamente evocata anche da musicisti, artisti e poeti.
Lo stesso terrorismo, considerato vile e disgustoso dai più, può essere raccontato in modo romantico quando il terrorista suicida immola la sua vita per la causa. Sarà esecrato in Occidente, ma cantato dai poeti del califfato. Siamo già al limite di quanto può essere trasformato in mito o epopea quando qualcuno si lancia con un coltello o un camion contro la folla: ma anche questi terroristi, per quanto spesso reclutati tra la feccia, vanno a morire gridando “Allahu Akbar”. C’e molto di fasullo nel trasformare in martiri dei disperati reclutati via Internet fra i frequentatori di bordelli e ritrovi per drogati. Ma qualcuno forse può ancora credere alla favola della bella morte.
Di disperato in disperato – sempre nell’ipotesi che c’entri con Londra – il metodo Adnani è sceso al grado zero, quello del disperato vigliacco. Altro che bella morte: l’ultimo fra i terroristi lascia la busta della spesa esplosiva e scappa. Può certamente fare dei morti, ma insieme a loro muore il mito del martire eroe. Resta solo lo squallore della viltà di chi uccide a tradimento, neppure più disposto a pagare di persona. Dalla poesia del califfato alla prosa della busta della spesa insanguinata. Può uccidere, certo, ma non troverà poeti disposti a cantarla. Il metodo Adnani ha dei benefici, ma anche dei costi. Più si usano disperati, meno quello che fanno si presta a diventare epopea. Senza l’eloquenza della sua retorica folle, il terrorismo dell’Isis troverà ancora facilmente reclute?