La leader birmana Aung San Suu Kyi ha condannato «tutte le violazioni dei diritti umani» in Myanmar, ma non ha citato in maniera specifica le violenze compiute dall’esercito ai danni della minoranza musulmana Rohingya. La mancata assunzione di responsabilità stata condannata da alcune delle principali organizzazioni per i diritti umani, a partire da Amnesty International che ha denunciato oggi «la politica dello struzzo» di Aung San Suu Kyi di fronte agli «orrori» avvenuti nello Stato di Rakhine. Ieri invece Human Rights Watch aveva chiesto sanzioni accusando il Paese di «pulizia etnica». Il discorso di oggi era particolarmente atteso, ma San Suu Kyi ha specificato che «non è intenzione del governo birmano attribuire colpe o evadere le proprie responsabilità». La leader birmana però si è detta disposta ad organizzare il ritorno di oltre 410 mila Rohingya, rifugiatisi in Bangladesh, e si è detta «profondamente desolata» per i civili «intrappolati» nella crisi. Nel palazzo del parlamento a Naypyidaw, capitale birmana, ha annunciato che è pronta ad avviare le verifiche delle identità dei rifugiati in vista del loro ritorno. Ma dove, visto che le loro terre e le loro case sono state saccheggiate e incendiate?
ORGANIZZAZIONI PER DIRITTI UMANI ALL’ATTACCO
Il discorso televisivo di Aung San Suu Kyi, atteso da settimane, non è stato giudicato sufficiente da Amnesty International, secondo cui non c’è alcun riferimento diretto ed esplicito alle responsabilità dell’esercito nelle violenze nel Paese. Human Rights Watch ha rincarato la dose: «Ci sono sempre colonne di fumo che si levano dallo Stato di Rakhine», ha dichiarato Phil Robertson, che ha poi chiesto all’Onu di imporre sanzioni contro il Myanmar. Anche Boris Johnson, ministro britannico degli Affari esteri, ha ribadito la sua posizione: «È vitale che Aung San Suu Kyi e il governo civile dicano chiaramente che questi abusi devono finire». L’anno scorso la leader birmana, parlando all’Assemblea generale delle Nazioni unite, aveva garantito che avrebbe difeso i diritti di questa minoranza, impegnandosi contro pregiudizi e intolleranza. Ora le organizzazioni per i diritti umani chiedono il conto. Il discorso è stato deludente: è passata dalla negazione alla minimizzazione. Da una Nobel per la pace, che è stata privata per quasi 20 anni della libertà personale, sarebbe stato lecito aspettarsi dichiarazioni in difesa dei diritti umani. Così non è stato.