Un recente sondaggio rivela che sarà Nea Democratia (il partito conservatore) a vincere le prossime elezioni. Nel 2019, al termine naturale della scadenza, o nel 2018, subito dopo la chiusura del terzo memorandum e prima che scattino altri tagli e il calvario di un attivo di bilancio del 3,5% fino al 2022 (il che significa austerità). Syriza all’opposizione, in attesa che dopo quattro anni scatti la nuova legge elettorale (votata da questo governo) che prevede il sistema proporzionale puro. A meno che il prossimo governo non trovi una maggioranza qualificata per “ri-riformare” la legge. Ma molte carte sul tavolo di Atene le giocherà il cinismo dell’Ue. Per i creditori Tsipras è una garanzia: vota misure draconiane e liberali, ma la protesta è silente, affermano a Bruxelles. 



Lo stesso sondaggio pone degli interrogativi cui nessuno sa rispondere. Ad esempio l’85% di coloro che hanno votato «no» nel referendum 2015 ha dichiarato che voterebbero ancora «no» in un ipotetico altro referendum. Significa forse, ma è un’ipotesi, che questo 85% non ha capito che il governo ha indetto quella consultazione per uscire dall’angolo in cui lui stesso si era messo con le sue politiche anti-memorandum. Probabilmente pensa ancora che Tsipras volesse dire no, ma che alla fine i “cattivi creditori” lo hanno obbligato ad accettare le loro condizioni. E sembra che il fatto che il risultato sia stato ribaltato, nella notte tra domenica e lunedì, non interessi loro.



«Quest’anno potremmo superare il 2% di tasso di sviluppo, ed è la prima volta dal 2008». Si sa che il primo ministro Tsipras è sempre molto ottimista, anche quando non ha dati sicuri a disposizione. Secondo i numeri del secondo trimestre, il tasso potrebbe arrivare all’1,7-1,8%. La domanda che si pongono gli economisti è questa: questo numero positivo può stabilizzarsi? Spezzettando le statistiche, l’aumento del Pil va attribuito soprattutto all’aumento dei consumi privati, mentre gli investimenti sono diminuiti e la bilancia commerciale è quasi in pareggio.

Piuttosto curioso il fatto che ci sia stato un aumento dei consumi quando gli stipendi sono diminuiti, sono aumentate le tasse e i contributi. Facciamo alcuni passi indietro. Nel 2008 la ricchezza delle famiglie era di 170,2 miliardi e i consumi arrivavano a 163 miliardi. La differenza era depositata in banca. Invece l’anno scorso le famiglie hanno speso 10 miliardi in più rispetto alle loro entrate, cioè i consumi sono stati il 9,3% in più, mentre nei primi sei mesi la percentuale è salita al 10%. I greci hanno deciso di “vivere alla grande”, dando fondo ai loro risparmi? Pensano che a breve potranno aumentare di nuovo il loro gruzzolo? Oppure l’economia “nera” la fa da padrone? 



Gli economisti non hanno una risposta univoca. In ogni caso l’aumento del Pil dovuto ai consumi può avere vita breve, sostengono. È sufficiente un refolo di vento europeo che soffia contro il governo e il “sogno” svanisce. D’altra parte il modello produttivo del Paese non è cambiato in questi otto anni di crisi, ed  è ancora lo stesso modello che ha portato la Grecia sull’orlo del baratro.

P.S.: Tempo di pagare la tassa sulla casa – sì quella che Tsipras voleva abolire. Un caso. Un alloggio in comproprietà (50-50): un proprietario paga una tassa corrispondente a un valore catastale di 25 mila euro. L’altro una tassa che corrisponde a un valore catastale di 15 mila euro.

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