BARCELLONA — Diverse imprecisioni e parzialità in alcuni resoconti italiani su cosa succede in Catalogna mi spingono a scrivere, come residente da 33 anni a Barcellona. Il problema è complesso. Sicuramente l’indipendentismo catalano attuale è intransigente e fra l’altro fa fuori le sue stesse norme (lo Statuto di autonomia e il regolamento del Parlamento). Ma la problematica comincia almeno tre secoli fa, quando la Catalogna perse la guerra di successione al trono di Spagna (1714).
Madrid intervenne pesantemente, annullando tutta la legislazione catalana vigente, perseguitando i patrioti, proibendo il catalano, togliendo l’università a Barcellona per un secolo e impostando una politica centralista che dura tuttora. Già nel XVIII secolo le strade per Madrid le pagavano tutti gli spagnoli, mentre altrove ognuno si pagava le sue. Anche in 40 anni di democrazia, il modello di sviluppo della Spagna è stato tutto centrato su Madrid. Il deficit fiscale della Catalogna è dell’ordine dei 10 miliardi di euro all’anno (oltre ai benefici indiretti della capitale, con un milione di funzionari statali), gli investimenti statali discriminano sempre la Catalogna, l’insufficienza delle infrastrutture qui è evidente, tanto più dolorosa in confronto a Madrid (i madrileni hanno perfino lo Stadio Olimpico… anche senza aver avuto l’olimpiade!). Una componente del contenzioso è Barcellona-Madrid, non solo Catalogna-Spagna.
Qui si pagano le autostrade (anche i tunnel urbani a Barcellona), a Madrid tutto gratis. Ma il parlamento spagnolo ha da poco stanziato oltre 2 miliardi di euro per “riscattare” da privati sette autostrade deficitarie (tre nella comunità di Madrid, fatte dove c’erano già tre autovie gratuite: erano perfettamente inutili). Tutti i treni Alta Velocità portano a Madrid (di una linea Barcellona-Valencia non se ne parla nemmeno). In Catalogna si pagano più tasse che in qualunque altra regione spagnola, anche per l’insufficiente finanziamento che Barcellona riceve dal governo centrale (mi spiace dirlo, ma autorevoli riviste cattoliche italiane hanno ripetuto falsità pubblicate in Spagna, dicendo che la Catalogna ha l’autonomia fiscale: non è vero). Fra l’altro il governo di Madrid presta soldi a quello catalano a tassi di interesse del 5 per cento con i fondi che riceve gratis dall’Europa: da avvoltoi.
La lista potrebbe proseguire (già un secolo fa i catalani che volevano dialogare prepararono un documento, “Memorial de agravios”: tutto inutile). Tutti i servizi che dipendono da Madrid qui funzionano malissimo: le poste, i treni, le compagnie aeree spagnole, l’ultimo episodio riguarda la crisi dei controllori aerei che ha toccato solo Barcellona… l’unica che funziona benissimo è Hacienda (l’agenzia delle tasse).
Più recentemente hanno acuito la crisi il centralismo asfissiante del secondo governo Aznar (2000-2004), che con la maggioranza assoluta ha portato all’estremo l’anticatalanismo, e le correzioni riduttive allo Statuto Catalano, pur approvato dai Parlamenti catalano e spagnolo, percepito come un oltraggio (Statuto comunque non rispettato nella sua parte economica). Risultato: nel 2000 c’era un solo deputato indipendentista al Parlamento di Madrid, adesso ce ne sono oltre 17 (Erc e Pdecat), più qualcuno di Podemos.
Questo centralismo vorace è quello che non piace a molti in Catalogna, ma non solo: in quasi tutte le comunità autonome spagnole ci sono partiti regionalisti (meno, evidentemente, a Madrid). E qui, con la crisi, la gente ha detto basta. E’ vero che gli indipendentisti non sono il 50 per cento; ma è anche vero che circa il 70-80 per cento dei catalani riconosce il proprio diritto all’autodeterminazione. La Spagna ha un evidente deficit di democrazia e il paragone con Gran Bretagna e Canada con i referendum in Quebec e Scozia è eloquente.
E non basta aggrapparsi alla Costituzione, che riconosce la sovranità al popolo spagnolo nel suo insieme. Quando la politica non è capace di raccogliere le giuste istanze del popolo, non tiene conto della realtà e si rifugia nel legalismo. Gli unici messaggi del governo centrale ai catalani sono state le minacce: “resterete fuori dall’Europa, uscirete dall’euro, perderete le pensioni”, eccetera. Così facendo dimostra di non credere troppo all’unità del paese.
Si fa un uso strumentale della giustizia, minacciando la pena di 8 anni di carcere per chi appoggia il referendum, si imbavaglia la stampa con multe sproporzionate, non si rispettano i diritti umani degli arrestati (si esagera volutamente parlando di tumulti e “sedizione”): finora tutte le manifestazioni pro-indipendenza sono state totalmente pacifiche e non violente (tranne le ultime con danni alle macchine della Guardia Civil). Tutto questo quanto potrà durare?
Madrid in questo modo favorisce il radicalizzarsi delle posizioni (in giro ci sono estremisti, e anche antisistema). Tutti i mezzi di comunicazione di Madrid sembrano strumenti di propaganda, la disinformazione è pericolosa e dà i suoi frutti perché la gente non sa cosa succede realmente qui. Ed è triste dirlo, ma anche i mezzi della Chiesa (Cope e 13Tv) hanno posizioni simili, nonostante i vescovi catalani si siano lamentati più volte.
Quello che succede fa parte di una crisi più ampia, sia spagnola che europea: l’incapacità di giustizia sociale di fronte ai grandi problemi del nostro mondo. In Catalogna come in Spagna o in Europa (o in Italia o anche in Germania dopo le ultime elezioni) andiamo verso il rischio di un blocco della politica, dominata dal potere finanziario e incapace di formulare progetti coerenti e maggioranze stabili, in una campo diviso in 4 quadranti (destra-sinistra; statalisti-regionalisti o europeisti-nazionalisti). Certo certe posizioni dell’indipendentismo catalano fanno paura, ma qui molti sono stufi di tanto egoismo centralista. Penso che ci siano diritti del popolo catalano non riconosciuti dalla Costituzione spagnola, e penso pure che le cose che uniscono Catalogna e Spagna siano molte di più di quelle che le separano. Ma qualcosa dovrà cambiare.