TERZA GUERRA MONDIALE. Nonostante i toni veementi e bellicosi della polemica in corso tra Stati Uniti e Corea del Nord, quasi tutti gli osservatori hanno finora ritenuto improbabile un conflitto diretto, ritenuto contrario agli interessi di tutte le parti in causa. Dopo il test nucleare condotto domenica da Pyongyang, la domanda è se queste analisi possano essere ritenute ancora valide.



Il test sulla bomba all’idrogeno ha confermato Donald Trump nella sua intransigenza, tanto da fargli rimproverare in un tweet la Corea del Sud per i suoi tentativi di colloquio con il regime del Nord. La reazione di Seul a questo nuovo test è stata peraltro molto netta, come quella di Tokyo, che ha anche criticato Cina e Russia per una insufficiente azione di boicottaggio di Pyongyang. Da parte sua, la Russia ha condannato con durezza l’esperimento nordcoreano, ma ha invitato a desistere da un’ulteriore escalation di rappresaglie per tornare al dialogo con Pyongyang. Posizione condivisa dal ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, che, pur dichiarando che tutte le opzioni rimangono sul tavolo, ha affermato al contempo di ritenere “non facile” una soluzione militare. Johnson ha invocato il ritorno al buonsenso e alla soluzione diplomatica, perché qualunque soluzione militare comporterebbe costi spaventosi.



Anche a prescindere dal rischio di un conflitto nucleare, l’opzione militare sembra continuare ad essere quella meno corrispondente agli interessi delle parti in causa, Cina, Giappone o Russia inclusi. Nell’escludere la via diplomatica, Trump ha forse presente Chamberlain e il suo illusorio “Accordo di Monaco” del 1938, preludio della seconda guerra mondiale. Un giudizio che pare non condiviso dal capo del Dipartimento di Stato, Rex Tillerson, e dal ministro della Difesa, Jim Mattis. Anche il parallelo tra Hitler e Kim Jong-un risulta piuttosto difficile, come è difficile intravvedere alcun “sogno” di costruire un impero al di fuori del Paese che già governa così disastrosamente. Ogni modifica unilaterale all’attuale situazione tra le due Coree porterebbe a un confronto diretto tra Stati Uniti e Cina, con catastrofiche conseguenze in primo luogo per il suo regime.



Perché allora questa apparente follia della minaccia nucleare? Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di una specie di “sindrome di Sansone”, che porterebbe Kim a preferire la distruzione del suo Paese e di una buona parte del resto del mondo pur di non rinunciare al potere. Il personaggio si presta a una simile ipotesi, ma, a differenza di Sansone con i Filistei, qui con Kim perirebbe la casta militare che gli assicura il potere. Difficile pensare che costoro preferiscano autodistruggersi piuttosto che liberarsi del capo, in una rivolta pretoriana non rara nella storia di dittatori folli.

Tuttavia, la follia di Kim Yong-un sembra avere molti aspetti di lucidità funzionali a una precisa strategia, che traspare considerando più a fondo la tempistica della vicenda. Dotarsi di un armamento nucleare, per di più a livello di bombe H, non è questione da poco, soprattutto per un Paese malridotto come la Corea del Nord, né può essere effettuato di nascosto in uno scantinato e senza aiuti esterni. Sarebbe stato relativamente semplice intervenire durante i primi passi del processo, mentre ora il rischio è diventato molto grave. Anche allora sarebbe stato necessario il placet della Cina, che non sembrava però avere alcun problema con l’ascesa nucleare di Pyongyang.

L’apparente sottovalutazione della questione nordcoreana da parte degli Stati Uniti va probabilmente messa nel contesto di quella “costruttiva cooperazione strategica” (come recita un documento ufficiale dell’epoca) tra Stati Uniti e Cina iniziata da Bill Clinton già dal 1997 e continuata sotto la presidenza di George W. Bush e di Obama, almeno in parte. In questa prolungata “intesa”, la Cina ha potuto rifornire gli Usa e il resto dell’Occidente con i propri prodotti a buon mercato, diventando al contempo il maggior sottoscrittore di titoli del debito pubblico statunitense. Il sopraggiungere della crisi economica del 2008 ha mantenuto la Cina nel ruolo di “traino” dell’economia mondiale, con spasmodica attenzione su ogni minima variazione del suo Pil.

In questo contesto sono stati messi in sottordine diversi comportamenti della Cina, come la progressiva colonizzazione, non solo economica, di buona parte dell’Africa e l’atteggiamento sempre più aggressivo verso i suoi vicini asiatici. Le “follie” di Kim sono senza dubbio servite per stornare l’attenzione, ma la militarizzazione delle isole del Mar Cinese Meridionale, la costante penetrazione in America Latina, “cortile di casa” degli Usa, i rilevanti investimenti in Europa hanno finito per ridestare l’attenzione, seppur frastornata, di Washington. La tempistica sembra però essere stata governata soprattutto, se non completamente, da Pechino.

La stessa analisi si può fare per la Corea del Nord che, al riparo dell’intesa cino- americana, ha potuto sviluppare sempre più le sue capacità missilistiche, ancora non perfette ma decisamente superiori al passato. Ciò vale anche per la progressione geometrica della potenza dei test nucleari, che rende sempre più solida la posizione di Pyongyang, anche se non forse ancora classificabile pienamente come “potenza nucleare”. Gli Stati Uniti sono ora in una posizione di stallo di fronte alle iniziative degli avversari, a meno di scatenare l’apocalisse della guerra totale.

La Cina ha reagito piuttosto male a questa ultima impresa del suo protetto, che pare sempre più deciso a comportarsi in modo autonomo. Come già accaduto in passato, l’esperimento nucleare è avvenuto durante un importante incontro internazionale sponsorizzato dalla Cina, in questo caso un meeting dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa). La cosa ha provocato notevole imbarazzo a Xi Jinping e si potrebbe perfino ipotizzare qualche connessione con la lotta interna all’establishment cinese. E’ probabilmente giunto il momento per Pechino di rivedere a fondo la sua posizione verso il satellite nordcoreano e qui si può creare un’area di incontro con gli Stati Uniti. L’obiettivo potrebbe essere un accordo che porti a una pace definitiva tra un Sud meno americano e un Nord liberato da Kim. Un accordo che pacificherebbe non solo la penisola coreana, ma, si spera, l’intera regione.