Nel silenzio assordante del mondo, con l’ormai evidente complicità del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyiche che continua a smentire, è in corso il genocidio della popolazione Rohingya di religione musulmana. Nell’ex Birmania oggi Myanmar questa minoranza risulta perseguitata da secoli accusati ancora oggi di aver invaso una provincia dell’estremo sud del paese provenendo dal Bangladesh. Secondo gli esperti di diritti umani, questa popolazione è da decenni la minoranza più perseguitata del mondo, mai riconosciuta ufficialmente e forzata a tornare nel Bangladesh. La scorsa settimana alcuni componenti dell’Arakan Rohingya Salvation Army, una milizia armata composta da membri Rohingya che obbligano ragazzini ad arruolarsi, aveva assaltato alcuni posti di polizia dell’esercito birmano per rifornirsi di armi. E’ immediatamente scattata la ritorsione, negata ufficialmente dal governo e dal premio Nobel, accusando gli islamici di aver incendiato migliaia di abitazioni e ucciso civili.
IL GENOCIDIO DEI ROHINGYA
Nulla di ciò: la repressione armata invece ha provocato fino a oggi oltre mille morti di cui 400 bruciati vivi mentre quasi 150mila persone stanno cercando di fuggire nel Bangladesh, trascinandosi nelle giungle con vecchi e bambini. Le testimonianze parlano di donne stuprate, ragazzini decapitati, profughi nascosti nelle foreste dove rischiano di morire di fame. Non solo: l’esercito birmano ha piazzato al confine mine anti uomo per sterminare la popolazione in fuga. Nella piccola provincia vive circa un milione di islamici, ma se le violenze dell’esercito birmano non si fermeranno ci si troverà davanti a un autentico genocidio. Intanto Aung San Suu Kyiche definisce queste persone terroristi dicendo che le mine potrebbero averle messe loro, mentre il premier indiano ha appena firmato con lei undici accordi commerciali.