La campagna militare lanciata dall’esercito siriano per liberare la campagna orientale di Hama e la campagna a sud di Idlib ha acquistato nuovo vigore. L’operazione (partita il 26 dicembre, attualmente in corso), si prefigge di riconquistare tutti i territori occupati dal gruppo terroristico Hay’at Tahrir al-Sham (al Qaeda in Siria), ivi compresa l’enclave detenuta da centinaia di transfughi dell’Isis provenienti da zone liberate nell’area Homs-Hama. 



E’ opportuno precisare che la suddetta iniziativa militare non infrange gli accordi di Astana. Infatti, sebbene l’area in cui si sta svolgendo l’offensiva sia zona di de-conflict e quindi zona di tregua, gli accordi russo-turco-iraniani prevedono che il cessate il fuoco riguardi solo gruppi di opposizione “moderati” ma non i gruppi terroristici Hayat Tahrir al-Sham e Isis (e quindi le zone di territorio siriano da questi detenute). Il motivo è facilmente comprensibile: nessuno stato occidentale lascerebbe l’istruzione, l’amministrazione della giustizia e le altre funzioni che sono prerogative dello stato, sotto il controllo delle forze radicali di al Qaeda. 



Per giunta, è da rilevare che l’operazione in corso risponde anche ad esigenze di sicurezza interna: era quanto mai urgente interrompere i continui assalti di Tahrir al-Sham contro le aree limitrofe sotto controllo governativo. Allo stesso modo, per facilitare la ricostruzione del paese e la ripresa economica, è indifferibile il ripristino di tutte le vie di comunicazione all’interno della Siria, ed in particolare la messa in sicurezza dell’autostrada Damasco-Aleppo.

Da qui l’imponente mobilitazione di uomini e mezzi che hanno permesso di rompere le solide linee fortificate di difesa dei qaedisti. A questo punto, proseguendo con la liberazione di decine di villaggi, è stato possibile raggiungere in breve tempo l’ex base aerea strategica di Abu al-Duhur, sta a dire una delle basi logistiche e di comando di al-Qaeda in Siria, che si trova a meno di 20 chilometri di distanza dalle roccaforti jihadiste più vicine.



C’è da rilevare che la continua progressione dei lealisti è stata possibile non solo dalle forze messe in campo e dall’aviazione russo-siriana, ma anche dal favore della popolazione civile, che sta combattendo con esse. In particolare, molte milizie locali hanno seguito l’orientamento dello sceicco Ahmed Mubarak al-Darwish, del villaggio Abu Dali ed hanno partecipato alla battaglia a sostegno delle “Forze tigre” guidate dal generale di brigata Suheil al-Hassan. 

Figurativamente, l’offensiva si è sviluppata su due diversi salienti, che una volta neutralizzato l’obiettivo più ostico — l’ex base aerea di  Abu al-Duhur — si sarebbero ricongiunte fino a formare una gigantesca sacca. Tuttavia la manovra “a tenaglia” è stata rallentata perché giovedì scorso, in soccorso ai terroristi di Tahrir al-Sham, sono accorse alcune importanti sigle che compongono il frastagliato fronte ribelle di Idlib. Precisamente, sul fronte di Kuwain al Kabir e Atshan sono scesi in campo i gruppi di Nour al din al Zinki, l’Esercito Siriano Libero, Ahrar al Sham, Faylaq al Sham, Jaish al Nasr, e Free Idlib Army.

Queste forze considerate “moderate” dall’occidente, hanno attaccato in forze a sud sul fianco l’avanzata siriana, nel settore affidato alla Difesa Nazionale, ovvero laddove il dispositivo militare era numericamente inferiore e meno equipaggiato. Significativo che la Turchia abbia ceduto al gruppo Nour al din al Zinki numerosi mezzi blindati “drago” da usare contro i governativi. 

C’è però da rilevare che seppure il blitz dei ribelli abbia colto di sorpresa l’esercito governativo, sabato le forze “Tigre” hanno ristabilito la situazione  antecedente all’attacco.

A fronte di questi progressi sul campo di battaglia, resta comunque il problema di una Turchia continuamente ambigua nelle sue posizioni rispetto alla Siria. Infatti, anche se il riavvicinamento di Ankara alla Russia ed all’Iran ha permesso i negoziati di pace di Astana, non è stato mai risolto il problema della sua commistione con i terroristi e e dell’appoggio che continua a fornire loro. La contiguità turca con i gruppi terroristi è emersa chiaramente con la richiesta di Erdogan agli ambasciatori di Russia e Turchia di far interrompere immediatamente l’avanzata dell’esercito siriano, pena il ritiro della Turchia dagli accordi di Astana (quotidiano turco Hurriyet).

Tuttavia, sebbene l’atteggiamento ondivago della Turchia desti crescente preoccupazione, in realtà è molto difficile che la stessa si spinga oltre: da una rottura con la Russia avrebbe solo da perdere. Più plausibilmente, l’ambiguità rispecchia solo la difficoltà di Ankara di gestire i rapporti con Tahrir al-Sham, dopo il fallimento di vari tentativi di indebolire l’organizzazione terroristica dividendola al proprio interno. 

Perciò, le esternazioni e l’aiuto di Ankara ai terroristi evidenziano solo le difficoltà interne di Erdogan, che prima ha formato la “palude” dei vari gruppi jihadisti ed ora continua a cooperare con loro perché è preoccupato per gli effetti dell’onda di ritorno che una rottura netta possa avere nel suo paese.