Approvata dalla Camera, la missione militare italiana in Niger sta per diventare un fatto concreto dopo lungo dibattito. Inizialmente 120 unità, paracadutisti della Folgore e due squadre di protezione che per la fine dell’anno aumenteranno fino a 470 soldati e 150 mezzi. Il compito ufficiale è quello dell’addestramento dell’esercito locale, fornendo anche mezzi tecnologici, ma nella documentazione presentata in Parlamento si dice esplicitamente anche “Concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio” il che significa inevitabilmente scontri armati con i trafficanti di uomini e droga e i gruppi jihadisti qua presenti in forze. La domanda allora è: cosa andiamo a fare esattamente? A fare un favore ai francesi che qua dominano lo scenario? A cosa servono solo 500 uomini in un contesto che lo stesso Macron ha definito “di guerra”? A che rischio ci esponiamo? Il generale Marco Bertolini, cià comandante del COI e della Brigata Folgore, ha guidato numerose operazioni speciali, dal Libano alla Somalia, ai Balcani e all’Afghanistan.
Generale Bertolini, ci sono numerose perplessità sulla nostra missione in Niger, c’è chi dice che sostanzialmente si tratta di un favore a Macron che così libera risorse da spostare su altri fronti. Che ne pensa?
Ci può anche essere questo aspetto, ma è importante capire che l’Italia fa bene a cercare di essere presente in Africa.
Perché?
Anzi, dovrebbe esserci con un impegno anche superiore a quello della Francia non solo per quanto riguarda il tema della migrazione, perché la migrazione arriva da noi e qui si ferma dato che la Francia stessa e altri paesi la bloccano. Ma anche per il fatto che possono arrivare da noi altre cose: l’Africa è un continente di grandi risorse ma anche di grandi problematiche che per noi possono rappresentare un fattore critico ulteriore e più grave.
Ci spieghi meglio.
L’Italia fa bene, ma deve essere presente per i propri interessi nazionali. Se non elaboriamo degli interessi precisi a prescindere dal problema immediato di fermare la migrazione è chiaro che tutto quello che facciamo sarà in perdita e ci sarà qualcun altro che lo farà al nostro posto.
Cosa dobbiamo fare?
Dobbiamo ricavarci un ruolo da protagonisti soprattutto in Nordafrica. Che poi la Francia ne approfitti della nostra presenza per suo uso e consumo sarà da vedere ed eventualmente da contrastare, di fatto noi già stiamo partecipando a una missione di addestramento nel Mali dove i francesi da anni combattono contro i jihadisti che cercano la secessione. Sicuramente i francesi trarranno dei vantaggi dalla nostra presenza, ma quello che dobbiamo chiederci è cosa vogliamo noi.
Sviluppare anche interessi economici, è questo che intende?
In generale, lo strumento militare è uno di questi, ed è tra i più adatti in certi contesti. Ma intendo anche obbiettivi politici. E’ giusto essere presenti, ma se andiamo solo per far vedere che ci siamo lasciando che altri traggano vantaggio dalla nostra presenza questo è sbagliato.
Non è facile per l’Italia diventare protagonista in un contesto internazionale dominato da interessi di nazioni potentissime, non crede?
Noi dobbiamo andare perché vogliamo non solo cambiare ciò che succede in Libia, ma per vantaggi economici, strategici, culturali. La nostra lingua dovrebbe essere diffusa in tutta l’area del Mediterraneo. Dobbiamo essere presenti nel Subsahara dove si generano frizioni e interessi enormi. Già ci sono americani, tedeschi, cinesi e spagnoli. E noi? Il problema italiano è che una politica estera nazionale non è ben definita e non sono mai stati definiti interessi nazionali da tutelare. Noi ci nascondiamo sempre dietro la cortina internazionale, sia essa l’Onu o la Ue, ma abbiamo interessi diversi dall’Europa. Perché lci sono paesi che riescono a fermare la migrazione e noi no, ad esempio?
C’è chi dice che sarà una missione che sottoporrà i nostri uomini ad alti rischi e che il numero dei soldati è troppo basso. E’ così?
I rischi ovviamente ci sono, ma i militari sono professionisti che vengono mandati dove ci sono i rischi. Se andiamo per svolgere un’attività di addestramento il numero di truppe può essere sufficiente, però dipende da dove andiamo a metterci. A 1600 chilometri dalla Libia, dove ci sono già altre unità, un livello di sicurezza migliore esiste. Se ci spostassimo più a nord verso la Libia ci vorrebbe un apparato logistico più importante, più mezzi. L’entità del personale e dei mezzi dipende da dove andiamo e cosa faremo.
C’è anche chi dice che i trafficanti troverebbero immediatamente il modo di aggirare il blocco passando dall’Algeria o dal Sudan.
L’Algeria è sicuramente più controllata della Libia e comunque si otterrebbe di rendere più difficile il traffico. Non lo si interrompe certo con 500 uomini, su questo non c’è dubbio. Nel frattempo, questa missione diventa importante nel momento in cui certifica una presa d’atto da parte del nostro paese a smetterla di guardare cosa decidono gli altri su di noi.
(Paolo Vites)