Si è levata la voce dell’’ambasciatrice Usa presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, che ha annunciato di aver intenzione di richiedere l’apertura di una sessione di emergenza all’ONU e al consiglio dei diritti umani a Ginevra sulla situazione che in Iran rischia di diventare sempre più drammatica, ora dopo ora.
Secondo l’ambasciatrice Haley le proteste in Iran sono «completamente spontanee, e sono ridicole le tesi secondo cui sarebbero programmate da forze esterne». Un modo per rifiutare in maniera sdegnosa le accuse che hanno insinuato come siano gli Usa a manovrare, dietro le quinte, i manifestanti. Quanto sta accadendo in queste ore a Teheran è comunque costantemente monitorato dagli Usa, che non escludono interventi a livello di politica internazionale. La Casa Bianca ha chiesto all’Iran di rispettare i diritti dei cittadini, ma manca ancora la voce più autorevole rispetto alla possibilità di adottare sanzioni contro l’Iran, ovvero quella del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che sembra ancora intenzionato a temporeggiare in vista dei prossimi sviluppi. (agg. di Fabio Belli)



L’ACCUSA DI KHAMENEI E IL PERICOLO SOCIAL

Iran: proteste, morti e arresti. Situazione delicatissima in Medio Oriente: sesto giorno consecutivo di proteste e disordini in Iran, con il movimento di sommossa che ha sfidato il governo. Al momento sono ventitre i morti e quattrocentocinquanta gli arrestati, con molti di loro che rischiano la pena di morte con l’accusa di Muharebeh (guerra contro Dio). La vittima più giovane, deceduta a Khomeinyshahr, aveva 11 anni: il ragazzino è stato trafitto da un colpo d’arma da fuoco mentre con il padre passava vicino ad una manifestazione. Ma c’è di più, come sottolinea il Corriere della Sera. La Repubblica Islamica infatti sta tentando di bloccare i social network, attraverso cui i manifestanti si organizzano e pubblicano immagini. In particolare, è diventata virale la storia della ragazza divenuta simbolo dell’ondata di protesta. La donna è immortalata mentre si toglie l’hijab e lo sventola dopo essere salita su un piedistallo. La ragazza è stata arrestata per il video in questione e di lei non si sa più nulla… (Agg. Massimo Balsamo)



450 ARRESTI

Sono per ore 23 morti, centinaia di feriti e 450 arresti: l’ondata di proteste in Iran vede le prime reazioni ufficiali anche della guida religiosa (e dispotica), l’ayatollah Ali Khamenei. Accuse forti e “minacce” di repressioni se le ondate di proteste non finiranno immediatamente: «i nemici dell’Iran rafforzano l’alleanza per colpire le istituzioni islamiche. I nostri nemici hanno fomentano le proteste usando soldi, uomini e agenti dell’intelligence», spiega la Guida Suprema iraniano in un messaggio alla nazione nel caos più totale. Non sono fatti nomi però, né gli Stati Uniti o altri possibili “colpevoli” di questi presunti odi fomentati: «Parlerò al popolo dei recenti incidenti a tempo debito». La mano durissima della repressione però è dietro l’angolo e l’appello alla calma di Rouhani al momento non sembra cogliere alcun risultato effettivo: il capo della Corte Rivoluzionaria della provincia di Teheran, Moussa Ghazanfarabad, ha annunciato che alcune delle persone arrestate potrebbero essere accusate di Muharebeh (guerra contro Dio). Quel reato è passibile di pena di morte, giusto per capirci.. (agg. di Niccolò Magnani)



LA NUOVA “ONDA VERDE” CON 23 MORTI

Vanno avanti per il sesto giorno consecutivo le proteste in Iran e il bilancio dei morti e degli arresti tra i manifestanti inizia a preoccupare non poco la comunità internazionale. L’ultimo bollettino parla di 22 vittime, di cui soltanto 9 nella notte appena trascorsa e di circa 450 persone arrestate. Molte di queste, come ha dichiarato il capo della Corte rivoluzionaria di Teheran, rischiano di essere incriminate per Muharebeh (guerra contro Dio), per cui è prevista la pena di morte. Una conseguenza delle proteste iniziate giovedì scorso a Mashhad, città conservatrice di 2 milioni di abitanti nel nord-est dell’Iran, che hanno messo nel mirino – oltre che il carovita e la disoccupazione – anche la corruzione del governo. E se si considera l’ordinamento teocratico del Paese, frutto della rivoluzione khomeinista del 1979, si intuisce in maniera chiara che lo spunto per l’accusa di Muharebeh esiste da un punto di vista ideologico ma forse anche giuridico: chi mette in dubbio il regime, insomma, mette in dubbio Dio e “merita”, per questo, di morire.

UNA NUOVA ONDA VERDE?

Diversi osservatori politici e conoscitori delle dinamiche interne all’Iran sono concordi nel dire che questo movimento di sommossa sia di fatto sfuggito di mano ai suoi registi. In tanti, infatti, credono che ad aver organizzato le prime proteste siano stati gli ambienti ultra-conservatori vicini all’ayatollah Ali Khamenei, il leader spirituale che si oppone alle politiche del presidente Rouhani. L’indignazione della gente, però, si sarebbe diffusa con una velocità e una forza che i primi movimentaristi non hanno saputo calcolare, travolgendo anche la guida suprema iraniana. Nelle immagini delle proteste che stanno facendo il giro del mondo sta poi iniziando a spuntare con una certa ricorrenza la bandiera verde, simbolo di per sé dell’Islam, ma per alcuni richiamo incontrovertibilmente legato alla famosa “Onda Verde”, il movimento che contestò i presunti brogli verificatisi nel 2009 alle elezioni presidenziali vinte dal conservatore Mahmud Ahmadinejad. In questo momento è comunque difficile immaginare come possa evolversi la situazione nel Paese, ma è certo che il presidente Rouhani si trovi tra due fuochi. Da una parte gli occhi della comunità internazionale, Trump in testa, decisa a far rispettare il diritto a manifestare pacificamente da parte dei cittadini; dall’altra la necessità di sopprimere sul nascere un moto di ribellione contro il governo che – di questo passo – rischierebbe di travolgere tutto il sistema iraniano.