Un albergo a 5 stelle, l’Intercontinental, situato nella zona ovest di Kabul che è stato il primo hotel di lusso di tipo occidentale costruito nella capitale afghana nel 1969. Ha 200 stanze ed ospita molti stranieri. Il 28 giugno 2011 l’attacco più sanguinoso — con modalità simili a quelle odierne — ad opera di talebani: fattisi strada con kamikaze almeno 9 uomini armati penetrarono nell’albergo aprendo il fuoco e prendendo ostaggi. Al termine di un assedio durato 5 ore, causarono la morte di 12 persone.
Ieri lo schema si è riproposto, ma al di là di coloro che ne rivendicheranno la responsabilità resta il problema di un paese senza pace dove gli sforzi della comunità internazionale paiono frustrati prima ancora che dagli insuccessi militari, dall’impossibilità di ricomporre un sentimento di Nazione alternativo agli interessi dei vari clan.
Giovedì scorso il Dipartimento di Stato Usa aveva diramato un’allerta su possibili, imminenti attacchi contro alberghi a Kabul. In un tweet, il ministero degli Esteri americano scriveva: “Allerta sicurezza a Kabul. Notizie che gruppi estremisti potrebbero preparare un attacco contro hotel a Kabul, come l’hotel Baron vicino all’aeroporto Hamid Karzai”. Un obiettivo sensibile, l’Intercontinental, che ospita di frequente incontri internazionali. Anche ieri mattina si era svolta una conferenza sugli investimenti cinesi nel Paese.
A quindici anni di distanza dall’intervento internazionale che ha rovesciato il governo talebano, l’Afghanistan rimane un paese estremamente instabile, nel quale alla guerra di lunga data tra Talebani e governo centrale si aggiunge la pericolosa azione destabilizzatrice dello stato islamico. E soprattutto appare un paese dove la guerra per l’egemonia a cavallo delle regioni indo-mediorientali sarà destinata a durare molto a lungo. Ben più di quanto si possano permettere i bilanci e le opinioni pubbliche dei paesi europei.
“Quando esco di casa al mattino, non sono sicuro che tornerò a casa sano e salvo. Nessun afgano si aspetta di tornare a casa sano e salvo”. Queste parole, frequenti a Kabul, valgono forse anche per gli stati maggiori dei paesi Nato come in passato tanto avevano significato anche per inglesi e russi.