Il numero delle vittime, tutti membri dello staff di Save the Children, rimaste uccise dall’attacco Isis di ieri contro la sede dell’Ong a Jalalabad, in Afghanistan è salito drammaticamente a quattro. A darne conferma in una nota, come spiega l’agenzia di stampa Ansa, è stata la stessa Organizzazione che ha appreso solo questa mattina della morte di un ulteriore operatore. Si tratta di un giovane di 20 anni e la notizia ha trovato ulteriore conferma dopo una seconda e più approfondita perlustrazione avvenuta nella mattinata odierna. L’Ong non si dà pace e, alla luce del drammatico bilancio, ha definito l’attacco terroristico di ieri come “un atto di violenza insensato e malvagio”, con delle conseguenze dirette soprattutto sui bambini e sulle comunità che Save the Children aiuta con il lavoro dei tanti operatori sparsi nel mondo. Nella giornata di ieri si è resa necessaria l’interruzione degli interventi dell’Ong e nella medesima nota è stato annunciato che presto le operazioni riprenderanno, con i primi passi in tal senso già svolti dagli operatori.



AFGHANISTAN, LA SITUAZIONE A JALALABAD DOPO L’ATTACCO

Ad intervenire oggi al portale Vita è stato Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia, che ha voluto commentare l’ultima drammatica notizia relativa all’attacco Isis di ieri alla sede di Jalalabad dell’Ong. Le vittime sono tutte operatori afghani e l’ultima è stata ritrovata proprio questa mattina sul tetto del palazzo della sede. “Probabilmente aveva cercato di mettersi al riparo ma non ce l’ha fatta. L’attacco è durato moltissimo, dieci ore. Nel nostro ufficio ci sono circa quaranta persone, all’inizio avevamo temuto che non fossero riuscite a mettersi in salvo”, ha spiegato Neri. Attualmente la situazione in Afghanistan è molto difficile e tesa, “in rapidissima e costante evoluzione”, ha aggiunto Neri con riferimento soprattutto a Jalalabad. La “colpa” sarebbe da addebitare esattamente al nuovo gruppo legato all’Isis e che ieri si è reso responsabile del terribile attacco. “Si tratta di una zona molto remota, al confine con il Pakistan, che quindi è maggiormente esposta a rischi e all’instabilità”, ha spiegato il direttore della sezione Italia dell’Ong. La sospensione necessaria delle operazioni, naturalmente porterà ad un conseguente peggioramento della situazione tra la popolazione locale. Secondo l’opinione di Neri, sarà difficile riprendere i lavori in questa zona precisa del Paese. “Significherebbe tornare ad esporre il personale ad altri attacchi”, spiega.

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