Il rapimento, tortura e morte di Giulio Regeni, 26 anni, ricercatore universitario, si è consumata al Cairo tra il 25 gennaio 2016, data in cui prese la metropolitana e sparì, e il 2 febbraio seguente, quando il suo corpo fu ritrovato. Di tutte le parole dette in questi due anni, le più vere restano quelle pronunciate dalla madre nel marzo dello stesso anno: “Ho visto sul suo volto tutto il male del mondo. Ho riconosciuto mio figlio Giulio sola dalla piccola punta del suo naso”.
C’è qualcosa che nessuno può distruggere, ed è l’amore di una madre che vede l’orrore e insieme l’unicità di quella persona irripetibile che era Giulio, un infinito irriducibile che emerge sopra il male con la punta del suo naso, la stessa di quando era bambino.
È grazie alla forza di una madre che la verità su questa tragedia è diventata un impegno morale di tutta la nostra nazione. Stranamente, Regeni non è stato ingoiato dalle sabbie mobili dell’indifferenza. Ieri il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, sul Corriere della Sera, ha fatto il punto sulle indagini. Ha spiegato che i grovigli politici e la mancanza di leggi ad hoc hanno reso impossibile la libertà d’azione per la nostra polizia giudiziaria, dovendo rispettare la sovranità dell’Egitto. C’è una certa collaborazione però, almeno con il procuratore capo egiziano — ha assicurato Pignatone —, e qualcosa sta emergendo, dribblando depistaggi e omertà.
Non fa accuse dirette, il procuratore della Repubblica. Ma lascia intendere un paio di cose: 1. c’è una responsabilità diretta di uomini degli apparati egiziani; 2. esiste un ruolo oscuro di chi, dall’Università di Cambridge, ha inviato uno studente inesperto e inerme su un terreno minato. Pignatone è esplicito. Da Cambridge hanno mentito sostenendo che i sindacati degli ambulanti del Cairo fossero un pallino di Giulio. Gliel’hanno chiesto i suoi professori — in particolare una certa docente — di esporsi con i capi ambigui di quelle organizzazioni decisive nel combattere Mubarak, e con un ruolo da decifrare rispetto al presidente Al Sisi. Un tema sensibile (significa scoprire se un sindacato ha un peso nella stabilizzazione o nella sovversione) che in un regime militare, dove i servizi segreti sono divisi al loro interno, pronti a creare situazioni di tensione dentro e fuori dell’Egitto, significa aver messo al giovane ricercatore friulano una bomba in tasca.
La logica e i rapporti di forza sullo scacchiere mediterraneo suggeriscono un’ipotesi che vedremo se la Ragion di Stato permetterà di esplorare davvero. Ne dubito ma lo spero. Cambridge è in certi suoi rami una succursale nobile di MI6, l’intelligence di Sua Maestà britannica all’estero. Nessuno scandalo. Nei Paesi anglosassoni è considerato un onore e un dovere contribuire alla sicurezza del proprio Stato. Ora, a partire dal 2011, gli interessi inglesi in Libia e in Egitto sono antagonistici a quelli italiani. Lo scopo da allora è di avere la preminenza in campo petrolifero, e non solo, modificando gli assetti di potere, soffiando sul fuoco di primavere un po’ ingenue e sincere, e molto manovrate da una strana alleanza tra fondamentalismi islamici e potenze occidentali. Gli inglesi, più di francesi e americani, sono stati i primi a fomentare le ribellioni in una certa direzione (anche in Siria). Ecco che allora creare un caso che devastasse i rapporti dell’Italia con l’Egitto e con la Cirenaica comandata dal filo-egiziano Haftar, era perfettamente congruo con questa strategia. Da poco l’Eni, nelle acque territoriali dell’Egitto, aveva scoperto un importantissimo giacimento di idrocarburi: una brutta storia per le pretese egemoniche angloamericane.
Ed è così che Giulio Regeni potrebbe essere stato adoperato come agente provocatore a sua totale insaputa, giocando con la sua curiosità di studioso, trasformando una persona intelligente e sensibile in una preda per le faide interne ai servizi segreti egiziani.
Questa è un’ipotesi, ovvio. Ma verificarne la corrispondenza alla realtà implica conseguenze gravi nelle relazioni internazionali con Stati alleati. È un’utopia sperare che la verità sulla sorte di una “punta del naso” non sia sacrificata sull’altare della Realpolitik? Io credo che una politica attenta al bene comune e all’autentico interesse nazionale possa tenere insieme ciò che nei regimi totalitari e corrotti sarebbe impossibile.