Giovedì scorso i governi degli Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Egitto, Arabia Saudita e Giordania — ovvero i paesi del “Gruppo dei sette” — si sono riuniti a Washington e hanno diffuso una dichiarazione congiunta sulla Siria (pubblicata sul sito del Dipartimento di Stato americano). 

Vediamo di che si tratta. Innanzitutto i sette chiedono all’Onu l’urgente convocazione di una commissione costituzionale per la Siria. Proseguendo, altro dato significativo è che — con chiaro riferimento ad Idlib — essi affermano che “non esiste una soluzione militare alla guerra e nessuna alternativa a una soluzione politica”. Viene inoltre ribadito, con “la massima fermezza”, che “coloro che cercano una soluzione militare riusciranno ad aumentare il rischio di una pericolosa escalation e di una più ampia conflagrazione della crisi nella regione e oltre”. In proposito il gruppo navale guidato dalla portaerei Truman nel Mediterraneo è un chiaro promemoria per il governo siriano. Infine, il documento si conclude con l’invito alle Nazioni Unite e all’Ufficio dell’inviato speciale per la Siria a convocare, il più rapidamente possibile, “un comitato costituzionale credibile e inclusivo” che inizi il lavoro di stesura di una nuova costituzione siriana e “getti le basi per la libertà ed eque elezioni sotto supervisione Onu in un ambiente sicuro e neutrale in cui tutti i siriani ammissibili, compresi quelli della diaspora, abbiano il diritto di partecipare”.



Alla luce di queste affermazioni possiamo trarre alcune conclusioni. Innanzitutto, è da considerare che quando si afferma che si rifiuta “una soluzione militare” della crisi, ciò non esclude un intervento del gruppo dei sette, ma evidentemente il divieto di escalation si riferisce ad Idlib che non va toccata. Chiarito questo non sfugge che riguardo alla riforma costituzionale, la richiesta fatta assomiglia a un diktat. Infatti, la composizione del comitato costituzionale risulterebbe “credibile” solo se composta da  tutti i siriani “ammissibili”: va da sé che, date le precedenti dichiarazioni, i siriani “ammissibili” non sono quelli che per lungo tempo i sette hanno definito “cricca del regime”. Invece quelli della “diaspora” hanno “tutti diritto a partecipare” perché essi non sono altro che tutti i componenti del governo in esilio denominato “Consiglio nazionale siriano” (Cns). E’ utile ricordare il Cns, pur configurandosi come un’organizzazione egemonizzata dai Fratelli musulmani, da anni è stato incoronato dall’occidente come “unico rappresentante del popolo siriano” senza per questo aver bisogno di alcuna elezione democratica.



Ebbene questo tipo di dichiarazione è ormai costante da sette anni e ruota sempre intorno al mantra che è l’altrui volontà che va piegata alla propria. Ma il carattere peculiare di queste intese è che da esse sono esclusi il governo siriano, la Russia e l’Iran, cioè i paesi chiave che dal 2015 hanno permesso la definitiva sconfitta dell’Isis e sono attualmente un fattore altrettanto fondamentale per la stabilizzazione, il miglioramento della sicurezza e il graduale ripristino dei servizi sociali chiave nel paese.

Ma non è tutto: lo stesso giorno il presidente Trump, ovvero il rappresentante degli Stati Uniti (la massima potenza mondiale rappresentata in seno ai sette) ha fatto un’altra dichiarazione in cui ha comunicato che l’esercito degli Stati Uniti rimarrà in Siria non più “finché l’Isis non sarà sconfitto” — come aveva detto finora — ma “finché l’Iran non se ne andrà”.



Non nascondo che in mezzo a queste dichiarazioni così contraddittorie si fa fatica ad orizzontarsi. Innanzitutto ci sarebbe da interrogarsi sulla legittimità internazionale del Gruppo dei sette: tra di loro ci sono gli stessi attori che hanno riempito di armi la Siria e addestrato i terroristi in Turchia. Ancora oggi la guerriglia e la separazione della Siria è tenuta in piedi forzatamente solo per merito o demerito degli Stati Uniti, ovvero la potenza più rappresentativa dei sette. Non è un mistero che Washington tiene le proprie truppe in Siria per addestrare ancora i terroristi e far svolgere loro ancora opera di destabilizzazione. è tutto scritto nel piano Timber Sycamore, che solo i media mainstream fanno finta di non conoscere.

Comunque è un dato di fatto che le forze statunitensi continuano a reclutare ed ad addestrare forze ostili per destabilizzare il paese. Queste non sono più solo le Syrian Democratic Force curde (Sdf) — che sognano da sempre di realizzare un Kurdistan indipendente — bensì i gruppi salafiti come il “Lions of Syria” . 

Questa sigla addestrata dalle forze statunitensi e confluita nella sala di regia “Nuovo esercito siriano” ha il preciso compito di fare azioni di guerriglia nella zona di Palmira con lo scopo di alleggerire altri fronti, favorire il proseguimento del conflitto, continuare l’azione di logoramento dell’esercito nazionale e incoraggiare la divisione interna del paese. Alcuni suoi membri nell’ultima incursione sono stati catturati a Palmira. Per l’appunto attualmente obiettivo degli Stati Uniti — dopo la defezione della Turchia — è ancora Palmira in provincia di Homs. L’area è centrale nel paese, è cruciale per portare ulteriori incursioni nelle principali città siriane, creare capisaldi nelle zone limitrofe e distrarre consistenti forze dell’esercito siriano in una vasta zona territoriale che presenta in alcuni tratti ampie zone montuose. E’ per questo che da settimane nelle zone montuose limitrofe sono in corso combattimenti tra l’esercito siriano e gruppi che hanno ricevuto il supporto dalle forze statunitensi stazionate nella base al confino siro-giordano di al Tanf.

Questo è solo un campionario di come nel “lor pensiero” il conflitto va tenuto acceso per strappare migliori condizioni negoziali e far ottenere un buon posto a tavola agli amici della “diaspora”.

A conferma di quanto sin qui detto, sabato è stato reso pubblico da Reuters il messaggio del rappresentante speciale Usa per il Medio oriente Jim Jeffrey, che ha minacciato che se Assad non accetterà le condizioni dei sette, gli Usa e l’Europa isoleranno ulteriormente la Siria anche imponendo ulteriori sanzioni, così dure che non hanno precedenti.