Il Centro cristiano tedesco è sempre stato il cuore pulsante della politica europea. La ragione di ciò risiede nella lunga, complessa e infine violenta unificazione sotto la spada d’acciaio degli Junker prussiani dopo la vittoria sulla Francia incoronando a Versailles (non in terra tedesca!) il primo Kaiser. La Baviera era laddove l’arco d’acciaio prussiano forgiato tra i boschi di Wagner e le spiagge anseatiche incontrava le Alpi e le foreste romantiche della Carinzia e i venti del barocco cattolico austriaco, mitigando gli uragani dei riformatori luterani di Amburgo. La Baviera è quindi l’archetipale in cui si scaricano i fulmini dei temporali franco-tedeschi e tedesco-britannici se è vero, come è vero, che l’Hansa come l’Olanda guarda al Regno Unito come una unità più che commerciale: di destino, un destino che può essere lacerante e rimettere in discussione la stessa egemonia degli Junker.
Non a caso oggi la crescita economica tedesca manifatturiera è sempre più bavarese che amburghese. Solo il carbone alsaziano-lorenese si staglia come una continuità imprescindibile. Per questo chi brandisce lo scettro della politica in Baviera fa rimbombare il suono dei colpi della sua marcia non solo in tutti gli antichi staterelli tedeschi ma altresì in Francia e in Austria e sin oltre le Alpi nella dolce Italia, così come nelle infelici nazioni (come le definiva István Bibó, il grande storico ungherese) della Mitteleuropa.
Domani si vota in Baviera ed è questo ruolo e destino storico archetipale a essere scosso. Il cuore del Centro cattolico tedesco bavarese, la Csu che ha avuto in Strauss il suo maestro politico, è da tempo in sofferenza per le posizioni di Angela Merkel. Le differenze sono quelle di sempre: la protestante Merkel guarda al liberismo dei diritti e della retorica della sostenibilità anti-diesel (mentre fa andare in silenzio le centrali a carbone di lignite unitamente alle pale dell’eolico offshore) ed è consapevole che la sfasatura tra ciclo economico, affamato di manodopera né cattolica né bianca per colmare i vuoti demografici, e ciclo politico neo-tranquillizionalista e neo-arcaico, deve essere colmato con l’immigrazione anche se si deve concedere con spettacolari rimpatri qualche comune chance ai tradizionalisti delle ottobrate bavareresi innaffiate dal luppolo.
Ma il popolo degli elettori, nel pieno di una crisi da anomia per insicurezza — sì, anche nella soffice Baviera cattolico-barocca — non vuol più ascoltare i canti della mediazione conciliatrice e si appresta a votare riscoprendo quelle identità tipiche dei cicli politici dominati dal rapporto tra angoscia e politica. E oggi non esiste più nessuna cultura politica che unifichi anziché dividere: di qui la frantumazione delle tradizionali macchine dei partiti con il crollo di socialdemocratici e democratico-cristiani ed emersione di destre neo-nazionaliste e di pulsioni liberiste ambiental-fondamentaliste. Sortirà una politica in frantumi con il Centro cattolico bavarese che centro non sarà più e risuonerà allora la tromba di Sigfrido di una Germania avviata verso la lacerazione. Con le conseguenze continentali — pardon, europee — del caso.