La notizia, riportata pochi giorni fa dal The Sun, sulla presenza di agenti del servizio d’intelligence e di membri delle forze speciali russe in due basi militari a Tobruk e Bengasi ha scatenato una serie di polemiche sulle reali intenzioni del Cremlino in Libia. A poco sono valse le smentite di Mosca — e del portavoce del suo alleato in Cirenaica Khalifa Haftar — che ha negato anche il posizionamento di un sistema di difesa anti-missile S300 sul terreno, altra “illazione” del tabloid britannico, basata su fonti dei servizi segreti di Londra. 



Cosa c’è di vero in questa notizia? E quali potrebbero essere i disegni libici di Putin?

Giova fare un passo indietro. Nel marzo scorso la Reuters aveva parlato di forze speciali russe in una base aerea di Sidi Barrani, nell’Egitto occidentale, a pochi chilometri dal confine libico. La presenza discreta dell’intelligence russa in Libia non è certo una novità, così come non lo è quella di forze speciali di altri Paesi tra cui la Francia, che da qualche anno ha piazzato nella base di Benina, a est di Bengasi, alcuni uomini delle forze speciali. Anche la presenza americana è oramai un segreto di Pulcinella. La task force statunitense disporrebbe addirittura di una base nel sud della Libia per coordinare le operazioni contro le forze jihadiste ancora sparse per il Paese. L’elenco potrebbe continuare, ma tanto basta per capire che molti degli attori internazionali invischiati nel teatro libico hanno da tempo più di un piede nel terreno. 



Diversa sarebbe, invece, la questione di un vero e proprio dispiegamento di armi nell’est del Paese. Se da un lato l’alleanza russa con Haftar potrebbe essere funzionale a soddisfare le ambizioni di Putin di uno sbocco sul mare nella Cirenaica, per ampliare la sua influenza nell’area, dall’altro l’ipotesi che la Russia (come riportato sempre dal Sun) “vuole trasformare la Libia in una nuova Siria, provocando il rischio di una crisi migratoria e petrolifera” sembra una predizione eccessivamente catastrofica. Che interesse avrebbe Mosca a destabilizzare ulteriormente il quadro libico, specie in un momento in cui sembrano aprirsi nuovi spiragli internazionali per una maggiore collaborazione per la pacificazione del Paese? 



Putin avrebbe già dato un assenso di massima alla partecipazione al vertice di Palermo sulla Libia del 12 e 13 novembre. Qui, forte della sua alleanza con Haftar, potrebbe giocare un ruolo nevralgico nelle trattative. Detta in altri termini, potrebbe essere un attore molto più forte sui tavoli diplomatici di quanto lo sarebbe con armamenti minacciosamente schierati sul terreno. Inoltre, durante il Forum internazionale Russian energy week, che si è svolto a Mosca dal 3 al 6 ottobre scorso, vari esponenti di spicco delle maggiori compagnie energetiche russe hanno discusso con il presidente della compagnia petrolifera nazionale libica Noc, Mustafa Sanallah, di nuovi accordi esplorativi e della ripresa delle attività nei giacimenti bloccati. Prima ancora la Noc aveva sottoscritto importanti intese con il gigante russo Rosneft per investimenti nel settore petrolifero libico. Non solo, lo scorso anno l’interscambio commerciale tra la Russia e la Libia è più che raddoppiato, sfiorando i 140 milioni di dollari. Pochi giorni fa il ministro dell’economia del Governo di unità nazionale ha annunciato l’acquisto di un milione di tonnellate di grano dalla Russia per un totale di 700 milioni di dollari.

Insomma, ragionando in termini geostrategici, la Russia avrebbe tutto il vantaggio a giocare la propria partita in Libia con gli strumenti del soft power piuttosto che con quelli bellici. Una considerazione che certo non può essere sfuggita a Putin.