Sembrano essere vicine ad una svolta le indagini per la morte di Jamal Khashoggi, il giornalista scomparso il 2 ottobre che si crede sia stato torturato e ucciso all’interno del consolato saudita ad Istanbul, in Turchia, da uno “squadrone della morte” composto da 15 persone, forse su ordine del principe ereditario arabo Mohamed Bin Salman. Come riportato da Il Post, la polizia scientifica turca ha ottenuto il permesso di accedere alla residenza privata del console saudita a Istanbul, Mohammed Al Otaib, per cercare indizi sulla scomparsa e l’omicidio del giornalista dissidente. Secondo quanto scrive il Guardian, la polizia ha lasciato l’abitazione del console dopo nove ore di perquisizione, portando via alcune scatole e delle borse. Alla zona boschiva alle porte di Istanbul in cui si stanno concentrando le ricerche degli inquirenti si sarebbe arrivati seguendo i movimenti di un furgone nero che si pena sia stato usato dagli assassini di Khashoggi. (agg. di Dario D’Angelo)
KHASHOGGI, SI CERCA CORPO NEI BOSCHI DI ISTANBUL
Gli ultimi dettagli che riguardano le ricerche del corpo di Jamal Khashoggi sono forse decisivi: gli investigatori turchi hanno esteso le ricerche del giornalista alla Foresta di Belgrado, un vasto bosco alla periferia europea di Istanbul dove potrebbe esser stato nascosto dopo l’uccisione brutale nel consolato saudita. «La politica non limiterà le sue indagini all’edificio del consolato saudita e alla residenza del console a Istanbul», fa sapere il quotidiano turco che più di tutti spinge sul piede del complotto di Riad dietro alla scomparsa di Khashoggi. Ma la seconda, importante, novità sul caso arriva dalla Russia dove il piano diplomatico rischia di divenire l’ennesima “guerra mondiale” delle dichiarazioni: «Viveva negli Usa e non in Russia, e in questo senso gli USA hanno una certa responsabilità per quello che gli è successo. Quello che è successo veramente noi non lo sappiamo. Se verrà chiarito che c’è stato un omicidio allora spero che saranno prese misure, che ci saranno delle condanne». A parlare è Vladimir Putin che evidentemente non deve aver preso bene le recenti dichiarazioni di Trump sui presunti coinvolgimenti del leader russo nei casi di avvelenamenti di Skripal e altre sparizioni sospette negli ultimi mesi.
I DETTAGLI RACCAPRICCIANTI DEL SEQUESTRO
Continuano ad emergere dettagli raccapriccianti in merito all’uccisione del giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi. Stando alle ultime indiscrezioni riportate dai media turchi, pare che il saudita sia stato torturato e fatto a pezzi quando era ancora in vita. Ad eseguire la macabra operazione, Salah al-Tubaigy, medico saudita che ha studiato in Australia e che è uno dei capi della scientifica del proprio paese. All’interno del consolato il dottore avrebbe portato con se una valigetta contenente una sega per ossa. Quindi, avrebbe indossato le cuffiette per ascoltare la musica, invitando gli altri presenti a fare altrettanto, molto probabilmente per evitare di sentire le urla strazianti di dolore del povero Khashoggi. I media turchi sarebbero in possesso dell’audio che proverebbe il macabro rituale durato 7 minuti, il tempo di torturare e ammazzare il giornalista dissidente. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
MORTO UN KILLER
Dopo la richiesta di Trump, la seconda novità di giornata riguarda una morte misteriosa denunciata dal quotidiano turco pro-Erdogan, Yeni Safak: in sostanza, un luogotenente dell’aviazione saudita Mashal Saad al-Bostani – dato tra i 15 membri due funzionari giunti a Istanbul il giorno della scomparsa (e probabilissima morte) del giornalista Khashoggi – è morto in uno strano incidente d’auto in Arabia Saudita. In questo modo, sostiene il quotidiano turco, uno dei killer materiali dell’operazione Khashoggi potrebbe «esser stato messo a tacere per sempre». Insomma, il cerchio si restringe, specie dopo che anche ieri i media Usa e turchi hanno pubblicato diverse prove in merito alla presenza di uno dei fedelissimi di MBS nel consolato di Istanbul proprio nel momento dell’arrivo del giornalista anti-Riad: si tratta di quel aher Abdulaziz Mutreb di cui qui sotto tracciamo un breve profilo, uno dei sospettati assieme al militare morto “nell’incidente” di aver fatto parte del plotone di esecuzione di Jamal Khashoggi.
TRUMP CHIEDE L’AUDIO DEL MASSACRO
Si sta stringendo il cerchio attorno agli assassini di Jamal Khashoggi, il giornalista torturato e ucciso nel consolato saudita di stanza a Istanbul. Tutto fa pensare che ad ucciderlo siano stati proprio i sauditi, e la prova concreta è il famoso audio di circa 7 minuti in possesso degli inquirenti turchi, in cui si sentirebbero le voci dei vari protagonisti, e soprattutto le urla di dolore dello stesso Khashoggi, fatto a pezzi ancora in vita. Sulla questione è intervenuto anche il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che non se la sente di attaccare apertamente gli amici dell’Arabia Saudita, e che ha spiegato che “entro la fine della settimana” si saprà la verità. Il tycoon avrebbe richiesto il famoso audio di 7 minuti e vuole vederci chiaro prima di accusare qualcuno: «Noi abbiamo bisogno dell’Arabia Saudita nella lotta al terrorismo – ha detto in un’intervista rilasciata ai microfoni di Fox Business – con tutto quello che succede con l’Iran e gli altri Paesi ma gli Usa hanno richiesto alla Turchia audio e video se esistono». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
RIMOSSO IL CONSOLE SAUDITA DI ISTANBUL
Con un comunicato che verrà reso noto nelle prossime ore dal Governo saudita, l’Arabia ha rimosso dal suo incarico con effetto immediato il console a Istanbul: Mohammed al-Otaibi era stato subito chiamato in patria dopo la scomparsa del giornalista anti-regime per riferire in merito, ma oggi viene aperta una inchiesta ufficiale nei suoi confronti. Proprio in quel consolato le varie prove repertate in questi giorni dimostrerebbero la complicità di diversi agenti sauditi che hanno torturato, decapitato e fatto a pezzi il cronista Jamal Khashoggi. Il Washington Post precisa – dopo l’ultima carrellata di prove pubblicate questa mattina – di non essere in grado di confermare in modo indipendente i legami dei sospettati con i servizi o la Guardia reale: detto questo, le indagini sul console suggeriscono il tentativo di Riad di trovare un “capro espiatorio” per provare a risolvere l’imbarazzo diplomatico generato dalla scomparsa e probabile tragica fine dell’editorialista Wp.
COINVOLTO AGENTE SAUDITA ADDESTRATO IN ITALIA
Le novità che emergono ogni ora dalle fonti giornalistiche internazionali di Istanbul e Riad sono sempre più raccapriccianti: ora ci si mette anche Wikileaks con informazioni recapitate sul cosiddetto “squadrone della morte” che avrebbe provveduto ad eliminare Khashoggi nei modi orrendi riportati qui sotto. «Uno dei 15 componenti del team di agenti sauditi che secondo le autorità turche sono implicate nell’omicidio di Jamal Khashoggi avrebbe ricevuto un addestramento informatico in Italia», lo rivela il portale di spionaggio informatico, pubblicando anche delle mail risalenti addirittura a 7 anni fa. Si chiamerebbe Maher Abdulaziz Mutreb, addestrato in Italia con l’uso del software “Hacking Team”: secondo il New York Times, inoltre, Mutreb sarebbe stato qualche anno fa un diplomatico assegnato all’ambasciata saudita di Londra e non solo, «Sarebbe molto vicino al Principe ereditario Mohamed bin Salman e potrebbe aver svolto il ruolo di sua guardia del corpo», spiega Rai News su fonti NYT. Il puzzle diventa sempre più complesso e le verità su Khashoggi faticano ad emergere con chiarezza..
“TORTURATO E FATTO A PEZZI DA VIVO”
Emergono inquietanti retroscena in merito all’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, ammazzato all’interno del consolato saudita di Istanbul. Il dissidente arabo sarebbe stato torturato e fatto pezzi nell’edificio mentre era ancora vivo. Si pensava che Khashoggi fosse stato ucciso e poi smembrato per nascondere il suo corpo, ma la macabra realtà sembrerebbe spingere verso un’altra direzione. A rivelare questi drammatici dettagli, che non sono comunque ancora certi, è Yeni Safak, quotidiano turco, che cita una registrazione audio risalente ai momenti delle torture, in cui si sentirebbe anche la voce di Mohammed al-Otaibi, il console. «Fatelo fuori di qui, mi metterete nei guai», il monito del console agli assassini, che poi gli replicherebbero «Se vuoi continuare a vivere quando torni in Arabia, stai zitto». A Khashoggi sarebbero state tagliate le dita, e poi sarebbe stato decapitato, il tutto nel giro di appena 7 minuti. Il responsabile delle torture sarebbe il dottor Salah Mohammed al-Tubaigy, capo dell’unità forense di Riad. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
DONALD TRUMP NON SI FIDA
Consegnati al giornale turco Sabah tre minuti dell’audio che proverebbe l’uccisione del giornalista saudita nel consolato arabo di Istanbul. Si tratta di un piccolo estratto delle registrazioni complete che i turchi dicono avere in mano, secondo i quali il giornalista venne ucciso nel giro di sette minuti in tutto senza neanche venire interrogato. Sarebbe stato torturato e quindi fatto a pezzi sul tavolo del console. Ma per Donald Trump si tratta di una montatura per colpire il principe ereditario bin Salman. Oggi il segretario di stato americano Mike Pompeo, dopo aver incontrato ieri il re e il principe ereditario sauditi, si trova ad Ankara per incontrare il presidente Erdogan e il ministro degli esteri turco (Agg. Paolo Vites)
TRUMP DIFENDE IL GOVERNO DI RIAD
La Turchia e non solo il New York Times si dicono certi: «abbiamo le prove che alcuni funzionari dell’Arabia Saudita hanno ucciso Jamal Khashoggi all’interno del consolato di Istanbul». La lunga giornata di ieri ha visto da un lato l’incontro “pacifico” tra Mike Pompeo, inviato di Trump, e il Re Salman con annesso vertice anche con il vero indiziato dell’intera operazione anti-Khashoggi, il principe ereditario Mohammed Bin Salman. Da Washington la linea è ormai fissata: il Governo di Riad non c’entra direttamente, piuttosto sarebbero dei servizi segreti deviati che avrebbero cercato di mettere in difficoltà il regime agli occhi della comunità internazionale rapendo e poi uccidendo il giornalista più noto anti-Riad addirittura in un consolato saudita. Questa la teoria politica, poi però le indagini stanno ribadendo ben altro: per il New York Times, quattro dei principali sospettati sono collegati al plenipotenziario di casa Saud, proprio il principe ereditario Mohammed bin Salman. «Penso che si debba scoprire prima cosa sia successo – ha dichiarato ieri Trump – ancora una volta siamo alla colpevolezza prima della dimostrazione dell’innocenza. Abbiamo passato una cosa simile con il giudice Kavanaugh e lui è sempre stato innocente per quel che mi riguarda».
TURCHIA, LE PROVE DELLE TORTURE CONTRO KHASHOGGI
Insomma, gli Usa per non perdere l’alleanza vitale con Riad (oltre che la faccia) stanno con la versione dei Salman, inevitabilmente gli avversari del tycoon e del regime islamista provano a soffiare il fuoco contro il complotto ordito dall’Arabia per eliminare un avversario scomodo come l’editorialista del Washington Post. In un audio di oltre 7 minuti, il quotidiano turco Yeni Safak (vicino ad Erdogan) fa ascoltare oggi le registrazioni di quello che sarebbe l’omicidio di Khashoggi: si sentono torture atroci, le dita strappate e infine, forse, una decapitazione. È chiaro che bisognerà capire la veridicità di tali prove, ma anche il NYT si dice convinto che le cose siano andate pressapoco così: ma anche qui le versioni sono cambiate più volte in questi giorni, dal “corpo fatto a pezzi”, allo “scioglimento nell’acido” fino alla decapitazione. Di contro, anche le versioni di Riad sono atrocemente cambiate, dal “vivo e libero fuori dal consolato”, al “forse morto dopo un interrogatorio finito male”. Da ultimo, la CNN dopo aver sentito 3 fonti informate a Istanbul avanza l’ultima stoccata: «interrogatorio ordito da 007 Riad vicini a MBS, sospettavano che Khashoggi avesse legami con il Qatar». Dovunque ci si giri nella complicata vicenda turco-saudita, resta il dramma di una famiglia e di una redazione che hanno probabilmente perso per sempre il loro Jamal: il fatto poi che la verità non emerga non fa che aumentare la rabbia e il rancore.