Nell’appuntamento di ieri con la nostra rubrica di avvicinamento alle Elezioni Usa 2016 vi avevamo chiesto di pazientare per sapere cosa avevano detto e fatto alla convention democratica di Philadelphia Barack Obama e Hillary Clinton. Quello che si è materializzato tra il terzo e il quarto giorno della convention è stato infatti un vero e proprio passaggio di consegne tra l’attuale inquilino della Casa Bianca e il suo ex segretario di Stato. Con due stili differenti e opposti, i due si sono emozionati e hanno emozionato la platea del Wells Fargo Center. Vediamo com’è andata.
Il talento di Barack Obama nel rapportarsi alle folle non è mai stato in discussione. Nel 2004, a pochi minuti da un suo discorso alla Convention democratica, fu evidente per qualche giornalista dall’occhio lungo che sarebbe stato quel travolgente senatore dell’Illinois il “primo presidente nero” della storia americana. Oggi che il tempo davvero sembra essere volato via, oggi che quel promettente democratico ha guidato l’America negli ultimi 8 anni e non può più ricandidarsi perché la costituzione glielo impedisce dopo due mandati, è arrivato il tempo dei bilanci. Obama, visibilmente emozionato, ha parlato ai suoi connazionali consapevole che questa sarebbe stata una delle sue ultime occasioni prima di congedarsi dal partito Democratico. Per questo ha ricordato con orgoglio alcuni dei suoi successi politici maggiori: dalla ripresa delle relazioni con Cuba all’uccisione di Osama Bin Laden, dall’accordo sul nucleare con l’Iran che ha reso il mondo un posto più sicuro alla ripresa economica avvenuta durante il suo mandato. Nonostante questo, Obama ha ammesso che c’è ancora molto da fare e si è detto certo che questo percorso possa essere completato soltanto da Hillary Clinton. Obama, come riportato da Il Post, in merito ad Hillary ha detto che “non c’è mai stato un uomo o una donna più qualificato di lei per fare il presidente degli Stati Uniti d’America”, includendo quindi anche se stesso. Il momento più emozionante è arrivato però verso la fine del suo discorso, quando Obama ha letteralmente infiammato la folla ringraziando gli americani per il supporto che gli hanno manifestato in tutti questi anni. Obama ha ammesso:”Per tutte le dure lezioni che ho imparato, per tutte le volte che ho fallito, l’ho detto anche a Hillary, e lo dico anche a voi, c’è una cosa che mi ha sempre rimesso in piedi. Voi. Gli americani”. Poi ha proseguito:”Più volte, nel corso degli anni, mi avete rimesso in piedi. Spero, ogni tanto, di aver rimesso io in piedi voi”. Ma la commozione tra i delegati presenti nel palazzetto è stata evidente quando Obama ha chiesto agli americani di “fare per Hillary quello che avete fatto per me. Vi chiedo di trascinarla come avete trascinato me”. Obama ha aumentato il ritmo del suo parlare, che si è fatto ad un tratto più incalzante e partecipe e, diciamolo, ha confermato di essere ancora il fuoriclasse assoluto della politica americana quando ha cominciato a parlare di “Speranza”:”Siete gli stessi di dodici anni fa, quando parlavo di speranza. Siete voi che avete alimentato la mia fiducia nel futuro, anche davanti alle difficoltà, anche quando la strada è lunga. Speranza davanti alle difficoltà, speranza davanti alle incertezze: l’audacia della speranza! America, in questi otto anni hai indicato la speranza. Adesso sono pronto a passare il testimone e fare la mia parte da privato cittadino. Quest’anno, in questa elezione, vi chiedo di unirvi a me e respingere il cinismo e la paura, di fare appello alle cose migliori di noi, eleggere Hillary Clinton alla presidenza degli Stati Uniti e mostrare al mondo che crediamo ancora nella promessa di questo grande paese. Grazie per questo incredibile viaggio. Andiamo avanti…”. Inutile dire che al termine dell’intervento di Obama sia immediatamente scattata la standing ovation dell’intera arena, che ha raggiunto il picco massimo nel momento in cui Hillary Clinton è salita sul palco per abbracciare il presidente. Ecco perché diciamo che le convention americane non assomigliano per niente a quei grigi congressi di partito italiani o europei. Perché in America tutto, o quasi, assomiglia ad uno show. E anche quando l’attore principale sta per uscire di scena si può trovare il modo di rendere il momento del commiato indimenticabile. Per capire di cosa parliamo cliccate qui e date un’occhiata alle battute finali del discorso di Barack Obama (https://www.youtube.com/watch?v=VbW_NjCEjak). Cliccando qui invece potrete vedere il momento dell’abbraccio con Hillary che ha reso felici i fotografi delle prime file (https://www.youtube.com/watch?v=OQWPkhQIWi4).
Dopo il bagno di folla riservato a Barack Obama, tutti i riflettori nel quarto e ultimo giorno della convention democratica di Philadelphia preludio delle Elezioni Usa 2016 erano puntati su Hillary Clinton. Quella che è emersa da un discorso salito progressivamente di tono dopo un inizio un po’ fiacco è stata la volontà di strutturare le prossima campagna elettorale su un referendum pro o contro Trump. Un po’ quello che avviene in Italia in queste settimane in vista della prossima consultazione referendaria di ottobre: più che la riforma costituzionale a motivare il Sì o il No è il parere personale di ogni elettore su Matteo Renzi. La scommessa di Hillary su Trump è più o meno la stessa degli anti-Renzi: Clinton è convinta che alla fine gli americani sceglieranno di dire No a Trump. E per convincerli l’ex segretario di Stato, come sottolinea Il Post, ha fatto appello al suo slogan principale “stronger together” (tradotto:più forti insieme):”Non credete a nessuno che dica: “Solo io posso sistemare le cose”. Queste sono le cose che ha detto testualmente Donald Trump a Cleveland. Davvero? “Solo io posso sistemare le cose”? Non si sta dimenticando qualcuno? I soldati al fronte. I poliziotti e i pompieri che corrono incontro ai pericoli. I medici e gli infermieri che si prendono cura di noi. Gli insegnanti che cambiano le nostre vite. Gli imprenditori che vedono opportunità in ogni problema. Le madri che hanno perso i loro figli a causa della violenza e hanno costruito un movimento. Sta dimenticando tutti noi. Gli americani non dicono: “Solo io posso sistemare le cose”. Gli americani dicono: Le sistemeremo insieme”. Hillary ha anche cercato di rintuzzare le accuse di chi la indica come un personaggio poco empatico nei confronti delle folle:”I miei incarichi vi dicono solo quello che ho fatto. Non vi dicono perché. La verità è che in tanti anni di servizio pubblico, la parte di servizio mi è sempre venuta meglio della parte pubblica”. La Clinton, però, dopo aver chiarito la rilevanza della sua corsa alla Casa Bianca per tutte le generazioni di donne americane, dalle nonne alle nipoti, ha tenuto a sottolineare che il suo essere attenta ai dettagli al punto di essere considerata quasi una “secchiona” che priva di magia ogni cosa, è la qualità che più dovrebbe spingere gli americani a votarla:”È vero, sono fissata con i dettagli delle politiche. Che si tratti dei livelli di contaminazione dell’acqua di Flint, in Michigan, del numero delle strutture per chi ha malattie mentali in Iowa, o del costo dei farmaci. Perché non sono dettagli se si tratta di vostro figlio o della vostra famiglia. Contano molto. E dovrebbero contare molto anche per il vostro presidente”. Infine, dopo aver messo in guardia gli americani dai rischi del portare Trump alla Casa Bianca, vista la sua incapacità di mantenere la calma dinanzi alle provocazioni degli utenti su Twitter o alle semplici domande di un giornalista, ha dimostrato di essere (anche lei) capace di emozionare. Lo ha fatto partendo da un aneddoto riguardante la sua infanzia e sua madre, e ha finito illustrando agli americani la sua “visione”, quella di una donna desiderosa di lasciare un’eredità importante alle generazioni future e lo ha fatto ricollegandosi al:”Più di una volta anche io sono caduta e mi sono rialzata. L’ho imparato da mia madre. Non accettava che mi arrendessi mai. Una volta cercai di nascondermi a casa da un bullo del quartiere. Lei bloccò letteralmente la porta: “Vai lì fuori”, mi ha detto. E aveva ragione. Bisogna tenere testa ai bulli. Bisogna darsi da fare per migliorare le cose, anche quando è difficile. Mia madre è morta alcuni anni fa. Mi manca ogni giorno. E sento ancora la sua voce invitarmi a darmi da fare, sempre. È quello che dobbiamo fare, come paese. Forse “non vivremo abbastanza da vedere la gloria”, come dice il musical Hamilton, ma “lasciate che ci uniamo in battaglia”. Che il nostro lascito sia “piantare dei semi in un giardino che non vedremo mai”. Per questo siamo qui: non in questa sala ma su questo pianeta. I Padri Fondatori ce lo hanno mostrato, e così molti altri dopo di loro. Si riunirono per amore di questo paese e per la passione del costruire insieme qualcosa per chi sarebbe arrivato dopo di loro. Questa è la storia dell’America. E oggi ne cominciamo un nuovo capitolo. Sì, il mondo ci sta guardando. Sì, il nostro destino è nelle nostre mani. Quindi cerchiamo di essere più forti insieme. Guardiamo al futuro con coraggio e fiducia. Costruiamo un domani migliore per i nostri figli e per il nostro paese. Quando lo faremo, l’America sarà grande come non è mai stata”. Non sarà mai Obama, non avrà mai il suo carisma e il suo stile: ma anche Hillary sa scaldare i cuori degli statunitensi.
(Dario D’Angelo)