Dopo il risultato della Baviera di due settimane fa, arriva una replica catastrofica per la politica di Angela Merkel e il governo di Berlino. Ieri si è votato in Assia, la seconda regione più industrializzata della Germania, e la Cdu della cancelliera crolla di 11 punti in percentuale: scende dal 38% al 27. I socialdemocratici della Spd continuano nel loro ridimensionamento, perdendo 10 punti rispetto alle precedenti elezioni regionali e 3 punti rispetto alle politiche di un anno fa, rischiando di rimanere sotto il 20%. Intanto salgono i “Grune”, i verdi, che sfiorano il 19% e l’AfD, il partito di destra di derivazione neonazista, che si avvicina al 13% e che farà il suo esordio nel Parlamento del Land.



Se a spoglio completato i risultati finali confermeranno questi numeri, siamo di fronte ormai a un’esplosione di protesta nel cuore dell’establishment tedesco e quindi, per osmosi inevitabile, di quello europeo.

E’ vero che l’unico Paese che ha un governo di osservanza populista (secondo la dizione che va oggi di moda) sarebbe l’Italia. Ma non c’è dubbio che la protesta anti-establishment si sta allargando a macchia d’olio. Mentre in Svezia si discute se si deve fare, per la prima volta dopo 103 anni, un governo di centrodestra, in Germania sta letteralmente saltando l’asse della politica europea e del dogma dell’austerità, il governo guidato dalla Merkel e tollerato, ormai a stento, da una parte consistente della Spd.



Guardando con un poco di senso critico a questa sequenza di risultati, sembra di assistere a un autentico sconvolgimento politico e sociale, che a noi appare difficile giudicare positivo, ma che è miope non vedere e soprattutto pericoloso cercare di nascondere.

Bisognerebbe, nella cosiddetta epoca delle fake news, fare l’elenco degli ex “grandi giornali” italiani, dove ad esempio la questione dell’Assia è stata ieri relegata a pagina 16 da quello che è considerato il più autorevole (a parole), e addirittura trascurata dal concorrente sempre più in affanno. Anche i telegiornali sembrano timidi rispetto a questi “problemini” e si rifugiano nelle risse italiane del Tap e della Tav. 



Complimenti comici quindi per la “completezza e l’oggettività dell’informazione”, predicata prima che arrivasse Walter Tobagi in via Solferino a Milano. Ucciso lui occasionalmente da aspiranti brigatisti rossi, quella sedicente “completezza e oggettività” è ritornata in modo ancora più esasperato, anche se in termini ridotti a causa di vendite ormai penose. E’ uno dei tanti aspetti dell’ipocrisia storica e politica dell’Italia di oggi.

Del resto, nessuno dei “cantori” della cancelliera Angela Merkel negli anni scorsi, sembra aver compreso che la Cdu tedesca appare sempre più in uno stato confusionale. Il presidente del Land dell’Assia, Volker Bouffier, ha dichiarato dopo i risultati: “Accusiamo dolore per i voti perduti, ma abbiamo anche visto che vale la pena di lottare. Volevamo restare la prima forza politica del Land e volevamo ottenere che nessuna coalizione si potesse formare contro di noi. Entrambi i risultati sono stati ottenuti”. Un autentico delirio!

E mentre la leader dei “Grune” esulta spiegando che “l’Assia non è mai stata così verde”, l’esponente più in vista della Spd in Assia, Thorsten Schäfer-Gumpel, fa comprendere quello che si discuterà a Berlino molto presto: “E’ una difficile e amara serata per l’Spd. Non abbiamo raggiunto quello che volevamo. Si tratta di un’amara sconfitta ed è il peggior risultato dal 1946”. Un commento che anticipa probabilmente una crisi di governo o quanto meno un rimpasto rapido, per usare un eufemismo.

Nelle parole di questo leader socialdemocratico riemerge finalmente il realismo di una politica che non regge più e che non interpreta il rivolgimento sociale in atto. C’è la consapevolezza che establishment e cittadini sembrano ormai parlare due lingue diverse e non si capiscono più. E questo sta avvenendo ormai anche nel cuore dell’Europa oltre che nei Paesi del Sud e in quelli che si potrebbero definire “periferici” rispetto ai fondatori.

Che cosa potrà avvenire adesso a Berlino e a Bruxelles, dove gli Juncker, i Dombrovskis e i Moscovici vengono scambiati per “acuti pensatori” al posto di considerarli personaggi pericolosi, in grado di moltiplicare i voti dei populisti?

Il governo tedesco è stato partorito un anno fa con grande fatica e la politica che viene applicata in Germania (e predicata nel continente e nell’Unione Europea) è ormai sottoposta a critiche severe. Fu il vice-cancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel, nel luglio del 2017, a imputare alla Merkel miopia politica per la pressione esercitata sui Paesi del Sud, investendo la cancelliera con questa frase: “Signora, che cosa può causare più danni alla Germania, una Francia con mezzo punto in più di deficit o una Francia con Marine Le Pen all’Eliseo?”.

Ma, come è noto, la cancelliera è una rigida protestante, che ha contribuito a liquidare, secondo alcuni con una metaforica pugnalata alle spalle, Helmut Kohl, e che si batte con uno schemino che non regge più. La Merkel è convinta che l’Europa, con il 7% della popolazione globale, con il 25% del Pil e il 50% della spesa sociale non può essere in grado di competere sul mercato globale con gli altri grandi, dagli Stati Uniti alla Russia, che vuole rinascere come potenza, alla Cina e all’India che rappresentano i nuovi giganti emergenti. 

Quindi la signora cancelliera pensa che servono riforme per far crescere competitività e Pil tenendo sotto controllo fino a ridurre la spesa sociale. Insomma è una “vestale” dell’anti-welfare e quindi va incontro a una protesta sociale epocale, che difficilmente i suoi “camerieri” europei potranno contenere.

Il dramma è che la protesta è egemonizzata da forze improvvisate, che non conoscono bene la grammatica democratica e la politica dei grandi innovatori dell’ultimo dopoguerra. E’ incredibile che si debba rimpiangere un Lord, come William Beveridge, inventore del welfare moderno, e subire gli sproloqui dei Salvini, dei Di Maio, dei Grillo e di altri “benpensanti” dei Paesi di Visegrad e dintorni.