Ormai non ci sono più dubbi: Seinab Sekaanvand, la sposa-bambina curda che uccise il marito orco arrestata in Iran quando aveva 17 anni, è stata giustiziata. La conferma arriva anche da Amnesty International. Ed è proprio l’organizzazione mondiale per i diritti umani a denunciare:”Non solo Zeinab era minorenne al momento del reato, ma il suo processo era stato gravemente irregolare. Aveva avuto assistenza legale solo nelle fasi finali del procedimento, nel 2014, quando aveva ritrattato la confessione, resa a suo dire dopo che agenti di polizia l’avevano picchiata su ogni parte del corpo”. Secondo Amnesty, “il 29 settembre la donna era stata trasferita nel reparto ospedaliero della prigione di Urmia per essere sottoposta a un test di gravidanza, risultato negativo il giorno dopo. Di conseguenza, la direzione della prigione aveva contattato la famiglia per segnalare che l’ultima visita era stata fissata per il primo ottobre. Qui, i suoi parenti avevano appreso che l’esecuzione sarebbe avvenuta il giorno dopo”. (agg. di Dario D’Angelo)
ZEINAB UCCISE IL MARITO ORCO
Si chiamava Zeinab Sekaanvand, era curda e oggi avrebbe 24 anni: non c’è più, giustiziata in carcere in Iran dopo la condanna alla pena capitale per aver ucciso il marito “orco” cui era stata costretta a sposarlo a soli 15 anni. È la tristemente nota “sposa bambina” che per anni, tra appelli umanitari e tentativi di convincere le autorità iraniane a rilasciarla, ha fatto “capolino” nelle cronache anche nostrane, indignate per il grado di trattamento per una donna, giovanissima e travolta da un caso in cui molto poco di legale le era stato concesso. «Non solo Zeinab era minorenne al momento del reato, ma il processo era stato gravemente irregolare. Aveva avuto assistenza legale solo nelle fasi finali del procedimento, nel 2014, quando aveva ritrattato la confessione, resa a suo dire dopo che agenti di polizia l’avevano picchiata su ogni parte del corpo», spiega Amnesty International, da anni impegnata nella liberazione di Zeinab. Tutto inutile, ieri è giunta la notizia che l’esecuzione per impiccagione era stata portata a termine assieme ad altri due detenuti nel carcere di Urmia, nel nord ovest dell’Iran.
LA VICENDA NASCE NEL 2011
La vicenda nasce nel 2011, quando la giovane iraniana di origine curda era stata costretta a sposare il marito: aveva solo 15 anni e fu solo l’inizio dell’incubo. Come scrivevamo nel 2016 quando già la condanna divenne ufficiale, «Arrestata con l’accusa di omicidio, era stata rinchiusa in carcere dove per circa venti giorni aveva subito violenze e alla fine aveva ammesso di aver ucciso l’uomo perché la picchiava e abusava di lei». Aveva 17 anni quando è stata arrestata ma in seguito, quando le torture in carcere finirono provò a raccontare un’altra verità – non sapremo mai se la “sua” oppure l’esatto andamento dei fatti – ovvero che fu il fratello del marito ad averla violentata e poi ucciso l’uomo. Nessuno le ha creduto ma soprattutto, anche al netto della condanna, il suo destino era già segnato: doveva pagare con la vita il “semplice” fatto di valere nulla di fronte la legge islamica vigente a Teheran, unico Paese al mondo in cui ancora oggi si mettono a morte i minorenni nel momento del reato.