Secondo quanto riportato da Sky News, a tutti i ministri del Governo May è stato chiesto di annullare per oggi e domani tutti gli impegni dell’agenza istituzionale e fare ritorno a Londra: nei giorni caldissimi della Brexit, si è pensato in un primo momento all’annuncio delle dimissioni della premier poi però smentite direttamente dalla stessa leader Tory, «Sin dall’inizio ho saputo che il mio desiderio era arrivare al traguardo per il popolo britannico, per onorare il voto espresso nel referendum. Se non andiamo avanti con questo accordo nessuno può essere certo delle conseguenze. Significherebbe intraprendere un percorso di profonda e grave incertezza, mentre il popolo britannico vuole solo che noi andiamo avanti», ha spiegato la premier May considerata però sempre in bilico dalle fonti del Parlamento britannico. Smentite anche le dimissioni di un altro ministro, il titolare del dicastero dell’Ambiente Gove. (agg. di Niccolò Magnani)



MARTEDÌ LA MOZIONE DI SFIDUCIA

La tempesta post Brexit non è ancora passata, anzi, la sensazione circolante in Gran Bretagna è che il peggio debba ancora arrivare. Dopo la bozza di accordo tecnico raggiunto con l’Unione Europea, c’è stato il caos in seno al governo britannico, e di conseguenza è stata invocata una mozione di sfiducia nei confronti del primo ministro inglese, Theresa May. Come riferito poco fa dall’edizione online dell’agenzia Ansa, il voto dovrebbe avvenire il prossimo martedì 20 novembre, una votazione fortemente voluta dai “brexiteers” più hard, scagliatisi contro l’intesa troppo leggera che la Gran Bretagna ha siglato con gli stati membri. Molti coloro che hanno sottoscritto la mozione di sfiducia nei confronti della premier, per ultimo, John Wittingdale, ex ministro della cultura, che ha appunto svelato di aver inviato una lettera a sostegno della causa. Per avviare l’iter servono le firme di almeno 48 deputati, ma i “ribelli” sostengono di poter raggiungere quella soglia, anche perché sono molteplici i malumori circolanti presso il governo inglese. Quello che succederà dopo, poi, lo scopriremo da martedì in avanti… (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



BREXIT, MAY: CAOS NEL SETTORE AUTOMOTIVE

La Brexit potrebbe creare non pochi danni al settore automobilistico inglese. Una questione sollevata in particolare dall’edizione online de Il Fatto Quotidiano, che descrive la situazione del settore automotive britannica in maniera a dir poco inquietante: «Lo senario di un “No Deal” proietterebbe dal 29 marzo prossimo il Regno Unito dell’auto in una epoca giurassica, con gli automobilisti britannici che subirebbero aumenti medi a listino per 1.500 sterline a vettura». Il settore automobilistico impiega oggi in totale circa 800mila occupati in Gran Bretagna, e una soft brexit non permetterebbe mai questi livelli occupazionali. In caso di mancato accordo, come anticipato già sopra, lo scenario sarebbe nefasto, con le auto prodotte oltre Manica che «atterrebbero in Europa – prosegue Il Fattocon un ricarico di circa di 3 mila euro ciascuna», questo nella speranza che il sistema doganale inglese si allinei velocemente al nuovo regime di frontiera, cosa però esclusa dagli analisti, che invece prevedono rallentamenti burocratici senza precedenti. Problemi su problemi in Gran Bretagna… (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



BREXIT: MAY VA AVANTI

Un vero e proprio tornado quanto sta creando la Brexit in Gran Bretagna. Ieri è stata scritta una delle pagine più buie della politica moderna britannica, con quattro ministri che hanno lasciato l’esecutivo, non soddisfatti dell’accordo d’uscita con l’Unione Europea. Ma la premier Theresa May tira dritto, spiega di voler andare fino in fondo anche perché non ci sono alternative. A far discutere è in particolare la solita questione dell’Irlanda del Nord, e a riguardo la May ha ammesso: «Capisco che ci siano preoccupazioni ma è un dato di fatto incontrovertibile che non ci poteva essere alcun accordo che non prevedesse un backstop». C’è quindi chi invoca un nuovo referendum, ma anche in questo caso il primo ministro inglese ha pochi dubbi: «i britannici si sono già espressi con un voto e hanno detto di voler lasciare l’Unione europea. Ed è quello che faremo». A dicembre arriverà l’esame finale, il voto del Parlamento, ma se questo sarà il clima è probabile che sarà il caos, anche perché i numeri non sono dalla parte della May, con i conservatori che sono a quota 318 su 650, 7 in meno della maggioranza assoluta, e tutt’altro che uniti. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

BREXIT, CAOS MAY: LA STERLINA CROLLA

Nonostante due dei quattro ministri dimissionari, Dominic Rab e Esther McVey abbiano smesso di accusare Theresa May di essersi “piegata al ricatto della UE”, si profila un voto di sfiducia al premier inglese da parte proprio del suo partito. Secondo quanto riporta la stampa inglese sarebbe questione di poche ore prima della richiesta da parte dei Tory pro-Brexit. Il più scatenato dei conservatori è Jacob Rees-Mogg che ha pesantemente accusato la May, la quale ha dichiarato che non ha intenzione di tornare sui suoi passi mentre sta facendo la conta di chi le è rimasto fedele. In caso di mancanza di una maggioranza, si scatenerebbe una lotta furiosa per la leadership del partito. Intanto la sterlina sta crollando sui mercati. Uno degli aspetti più criticato della bozza sulla Brexit riguarda l’Irlanda del Nord, per gli euroscettici rappresenta il rischio di integrità del Regno Unito, a cui la May risponde dicendo che sarebbe stato “irresponsabile rinnegare fatte all’Irlanda del nord” (Agg. Paolo Vites)

BREXIT, MAY: IL VOTO DI SFIDUCIA

Dominic Raab, Suella Braverman, Shailesh Vara ed Ester McVey: sono questi i 4 pezzi da novanta che questa mattina hanno rassegnato le loro dimissioni dal governo May dopo la bozza d’accordo raggiunta tra la premier britannica e l’Ue per la Brexit. Un’intesa che non piace al partito conservatore, al punto che voci insistenti parlano di una mozione di sfiducia nei confronti dell’inquilina di Downing Street che potrebbe essere presentata nelle prossime ore. Come riportato da La Repubblica, in realtà già ieri sera a margine di un Consiglio dei Ministri definito da più parti “drammatico”, dove alcuni dei partecipanti sarebbero arrivati alle lacrime (tra cui pare proprio l’ormai ex ministro del Lavoro, Ester McVey), i ribelli euroscettici avrebbero raccolto le firme per sfiduciare May come leader del partito. May, nel bel mezzo della bufera più grande dalla sua andata al governo, godrebbe tuttora del supporto di 50 deputati Tories, quanto basta per garantirle la leadership. Ma un effetto domino dopo la rinuncia di ministri di primo piano come quelli che hanno rassegnato le loro dimissioni, in condizioni politiche così instabili, non può essere escluso. (agg. di Dario D’Angelo)

TERREMOTO NEL GOVERNO MAY

Sta creando un vero e proprio terremoto nel governo britannico, la bozza di accordo sulla Brexit. Come vi abbiamo già spiegato poco fa, a seguito dell’intesa raggiunta dalla premier Theresa May con l’Unione Europea per “l’uscita”, si sono dimessi quattro ministri, a cominciare da Dominic Raab, colui che ha condotto il negoziato con Bruxelles assieme al primo ministro. Via anche il ministro britannico per l’Irlanda del Nord, Shailesh Vara, che evidentemente non ha accolto l’intesa raggiunta con l’UE in merito al trattamento proprio della parte dell’Irlanda che sottostà alla Gran Bretagna. Dimissioni anche da parte del ministro del lavoro e delle pensioni Esther McVey, nonché della sottosegretaria per la Brexit, Suella Braverman. La McVey ha utilizzato Twitter per presentare la sua lettera di dimissioni, spiegando: «L’accordo che avete presentato al governo ieri non riflette il risultato del referendum», riferendosi ovviamente alla famosa votazione del giugno del 2016 in cui il 52% dei britannici votò a favore dell’uscita. Braverman, sempre via Twitter, ha invece aggiunto: «Mi trovo ora nell’incapacità di sostenere in modo sincero l’accordo approvato ieri dal governo». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

BREXIT: TRE MINISTRI LASCIANO

«L’intesa con la Ue non è l’accordo finale»: il richiamo della premier May in parlamento per riferire sull’accordo raggiunto nel Governo inglese la dice lunga sullo stato di crisi evidente nel Gabinetto dei Tory. Dopo Raab e Vara, dà l’addio al Governo anche il Ministro del Lavoro Esther McVey, di fatto l’esponente dell’ala dura conservatrice per una “hard Brexit” delusa dal comportamento della Premier e dai contenuti dell’accordo raggiunto con Bruxelles. In una sola mattinata i tre ministri più “vicini” alla Brexit danno l’addio al Governo mettendo se possibile ancora più in “crisi” la Premier chiamata ora a recuperare consensi e voti in Parlamento in vista del vero “deal” dei prossimi giorni. «L’accordo che la premier Theresa May ha presentato al governo», scrive nella lettera di dimissioni l’ex Ministro del Lavoro – «non onora il risultato del referendum, il testo contiene troppe concessioni alla Ue e minaccia l’integrità del Regno unito». Dire che ora il Governo è a “pezzi” non è più una metafora giornalistica.. (agg. di Niccolò Magnani)

DIMISSIONI DEI MINISTRI PER LA BREXIT E L’IRLANDA DEL NORD

La May ha ottenuto il Sì e la sua vittoria, ma il giorno dopo “perde i pezzi”: il Ministro per la Brexit, Dominic Raab si è dimesso, e con lui anche il sottosegretario al Dicastero per l’Irlanda del Nord, Shailesh Vara: i due ministeri più importanti e legati al passaggio dalla “vecchia” Gran Bretagna in Europa a quella nuova se ne vanno in aperto dissenso con la bozza di accordo ieri approvata dal Governo May a larga maggioranza, «Non posso in buona coscienza sostenere i termini proposti», scrive questa mattina Raab su Twitter dopo aver presentato ufficiali dimissioni a Downing Street. Insomma, non un ottimo viatico per la premier May che si appresta a lottare in Parlamento per far approvare la “sua” bozza di accordo con Bruxelles: dal canto suo, Vara critica che la bozza di destinata a lasciare il Regno Unito «a metà guado a tempo indeterminato e non dà garanzia definitive che l’Irlanda del Nord non abbia alla fine relazioni con l’Ue più profonde rispetto al resto del Paese». (agg. di Niccolò Magnani)

LA “PALLA” PASSA AL PARLAMENTO

Il premier inglese, Theresa May, è riuscita a salvare la prima bozza di accordo per la Brexit. Ieri si è tenuta una riunione d’emergenza di Gabinetto, in cui gli esponenti del governo britannico si sono confrontati sull’accordo con l’Unione Europea in merito all’uscita dall’euro, e il primo ministro è sopravvissuto con l’accordo in mano nonostante previsioni nefaste. May parla di «Un passo decisivo», anche se ora l’accordo dovrà passare dal Parlamento, dove dovrà scontrarsi anche con l’opposizione e con i sostenitori della Brexit più “hard”. La riunione di ieri è durata cinque ore, 300 lunghissimi minuti in cui sono state analizzate nel dettaglio le 585 pagine riguardanti l’accordo a livello tecnico fra la Gran Bretagna e l’UE: «Abbiamo avuto una discussione lunga, dettagliata e appassionata – ha detto la May al termine dell’incontro – è stata una decisione collettiva presa nell’interesse nazionale». In base all’accordo la Brexit sarà “soft”, con il Regno Unito che potrà avere libero scambio di merci con i paesi membri, un periodo di transizione che durerà fino al 2020, e una clausola in merito alla questione Irlanda, per evitare che si ritorni ai confini “fisici”.

BREXIT: PRIMA VITTORIA DELLA MAY

«Ci riprendiamo il controllo del nostro denaro, dei confini e delle leggi», ha detto May, anche se la soluzione pare non sia stata approvata da tutti, giusto per dire un eufemismo. Secondo i Brexiters, la Gran Bretagna continuerà di fatto a rimanere assoggettata alle leggi dell’Unione Europea, e Boris Johnson, fra i più accaniti sostenitori dell’uscita, parla già di “stato di vassallaggio”, rispolverando il Medioevo. Nel contempo i sostenitori dell’Europea chiedono un altro referendum, convinti che questa volta la Brexit venga bocciata, mentre gli unionisti dell’Irlanda temono che il Nord venga trattato in maniera differente rispetto al resto della Gran Bretagna. «Perderai il sostegno di molti deputati conservatori e di milioni di elettori nel Paese», le parole “soft” di Peter Bone, deputato dei Tory, fra i più euroscettici, mentre Nigel Farage, ex leader del partito nazionalista Ukip, parla del «peggior accordo della storia», invitando i ministri a dimettersi. «So che ci saranno giornate difficili – ha concluso la Premier – è una scelta tra questo accordo, o nessun accordo e nessuna Brexit». Ora si sposta tutto a Westminster, dove si deciderà la guerra.