Un po’ come accaduto nei mesi scorsi dopo lo scandalo Cambridge Analytica, così per le accuse del New York Times di aver utilizzato la Definers Public Affairs, ritenuta di area repubblicana, “per screditare i manifestanti attivisti, in parte collegandoli al finanziere George Soros“, anche stavolta Mark Zuckerberg prova a scagionare se stesso sostenendo che no, non era informato di ciò che avveniva all’interno della sua amata – e problematica – creatura: Facebook. In una conference call coi giornalisti del Guardian, Zuckerberg si è difeso: “Non sapevamo nulla di quanto stava accadendo perché dipendeva da una compagnia terza rispetto a Facebook. Non appena io e i miei collaboratori siamo venuti a conoscenza di ciò dall’inchiesta del New York Times, abbiamo interrotto i nostri rapporti con la compagnia”. La Definers Public Affairs, cui Facebook si è legata proprio nel bel mezzo dello scandalo Cambridge Analytica per difendere la sua piattaforma dagli attacchi, secondo il NYT avrebbe diffuso frasi antisemite e messo nel mirino Soros, il miliardario ungherese diventato il bersaglio preferito dell’ultra-destra e raggiunto pochi giorni fa da un pacco-bomba all’indirizzo della sua residenza a New York.



ZUCKERBERG, “PROFONDO RISPETTO PER SOROS”

Zuckerberg nella sua difesa contro le accuse del New York Times ha lasciato intendere di non avere alcun motivo per autorizzare una campagna anti-Soros tramite Facebook: “Ho rispetto per Soros, le offese nei suoi confronti mi disgustano“. Certo è che l’ammissione di Zuckerberg aumenta i dubbi sulle capacità del fondatore e CEO di Facebook di controllare ciò che avviene all’interno della propria azienda. Un dato non da poco se si considera la capillarità del social network, diventato ormai imprescindibile quasi in tutto il mondo. Il picco di attacchi rilanciati da Facebook contro Soros si è verificato alla vigilia delle elezioni di Midterm dello scorso 6 novembre, proprio nelle stesse ore in cui Donald Trump si rendeva protagonista di un nuovo durissimo affondo nei confronti del liberal ungherese, definendolo uno dei registi della carovana dei migranti proveniente dall’Honduras e diretta verso il confine degli Stati Uniti.

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