Il rappresentante speciale degli Usa per la Siria James Jeffrey ha affermato, in un briefing con i giornalisti, che “gli Stati Uniti non credono che l’Isis possa essere completamente sconfitto fino a quando Assad e il suo governo non saranno rimossi dal potere”.
L’ affermazione non trova però riscontro reale nei fatti. L’esercito siriano è la forza che più seriamente ha combattuto lo stato islamico (Isis/Isil/Daesh) e che ha subito più perdite nella lotta contro il califfato. Migliaia di soldati siriani sono morti nella lotta contro l’Isis. La resistenza offerta a Deir Ezzor da un manipolo di uomini che per tre anni, circondati, hanno resistito a Daesh fino ad avvenuta liberazione, dovrebbe rimanere negli annali della storia militare. La stessa cosa è avvenuta nell’aeroporto di Kuweires ad Aleppo per un periodo di due anni, nei quali i soldati assediati — prima dai ribelli e poi dall’Isis — subirono circa quattrocento attacchi.
Capite quindi che l’affermazione di Jeffrey, oltre ad essere oltremodo lontana dalla realtà, è anche ingiusta per la memoria di tanti uomini caduti nella lotta contro l’Isis o uccisi quando fatti prigionieri (tra questi ricordiamo i 200 al campo di Shaer e i 250 nella base Tabqa).
Anche oggi l’esercito siriano sta lottando duramente contro l’Isis e sicuramente lo avrebbe già sconfitto se gli fosse stato concesso di oltrepassare l’Eufrate. Ma quando ci ha provato ugualmente l’aviazione statunitense lo ha annientato.
Al contrario, la lotta contro lo stato islamico operata dalla coalizione occidentale è stata talmente blanda che questi si è riorganizzato ed ha ripreso tutte le sue posizioni che occupava sei mesi prima, sottraendole alle forze Syrian Democratic Force curde (Sdf), supportate dagli Usa.
Ma c’è un altro particolare che dimostra che ciò che sostiene l’ambasciatore Jeffrey è palesemente falso: l’esercito siriano in questi giorni non si sta limitando solo a proteggere il suo territorio dagli assalti dell’Isis, ma venerdì scorso è venuto in soccorso delle forze Sdf aprendo il fuoco sull’altra sponda dell’Eufrate in provincia di Deir Ezzor contro le redivive milizie dello stato islamico. Nell’occasione, l’artiglieria del 5° corpo d’armata siriano ha compiuto ben 40 bombardamenti nei pressi della città strategica di Abukamal per supportare le forze Sdf, quando queste erano pesantemente attaccate dai militanti dell’Isis. Al Masdar News riferisce che a seguito della risposta dell’esercito siriano, l’Isis ha subito ingenti perdite.
Attualmente le forze governative stanno affrontando un’altra dura lotta contro lo stato islamico nei pressi della località di al-Suwayda, dove persiste una presenza dell’Isis abbarbicato nella località montuosa di origine vulcanica al Safa (piena di grotte e crepacci che rendono proibitive le operazioni belliche).
L’esercito siriano ha lanciato contro Daesh una delle sue migliori unità, la 42ma brigata d’élite, che fa parte della quarta divisione meccanizzata dell’esercito arabo siriano. Questa formazione, insieme alle unità delle forze speciali russe, si è andata ad aggiungere alla 42ma brigata, alla prima, terza, quarta, nona, e 11esima divisione e al 5° corpo d’assalto. Mentre i volontari sono rappresentati dalle Forze di difesa nazionale, dal Partito socialista nazionale siriano, dall’Esercito di liberazione della Palestina e da Hezbollah.
Queste forze il 9 novembre hanno permesso la liberazione di 19 civili — 15 tra bambini e adolescenti e 4 donne — rapiti precedentemente dai terroristi di Daesh quando già ne avevano uccisi 5 nei giorni precedenti. La notizia è stata riferita anche da Al-Alekhbariya Syrian TV Channel, da al Masdar News e dall’agenzia siriana Sana. A seguito della liberazione una delegazione composta da leader della comunità drusa (notoriamente ostile al governo siriano), ha fatto visita al presidente siriano Assad per manifestare la propria gratitudine per il ritorno a casa dei sequestrati.
Quindi coerentemente tutto si può dire ma non che l’esercito siriano non stia combattendo l’Isis. Ogni settimana decine di soldati ed ufficiali muoiono nei combattimenti e a complicare ulteriormente le cose sono sopraggiunte in zona piogge torrenziali che rallentano ulteriormente le operazioni, già ostiche per la difficoltà di approvvigionamento.
Come abbiamo già detto precedentemente, ogni presenza residua di Desh è stata resa possibile a causa di una serie di imperdonabili errori da parte della coalizione a guida Usa. Alla luce di questi fatti, neanche parzialmente coperti dai grandi media nazionali, le parole di Jeffrey — che correla la presenza dell’Isis con la permanenza di Assad al potere — possono trovare consenso solo in pubblico disattento e a digiuno di notizie.
La cronaca degli eventi invece dimostra che senza l’intervento russo del 2015, l’Isis non sarebbe stato mai sconfitto dalla coalizione occidentale. Paradossalmente, solo quando l’esercito siriano si è riorganizzato ed ha contrattaccato avanzando al nord dell’Eufrate, la coalizione in fretta e furia ha deciso di liberare Mosul e Raqqa, utilizzando tutto il proprio potenziale bellico a disposizione. Ma la tempistica è stata chiaramente indirizzata affinché Assad non si rafforzasse troppo.
Quindi sdegno, indignazione per “la sofferenza del popolo siriano” sono solo belle parole da dare in pasto al pubblico. Jeffrey in definitiva ciò che conta lo ha richiamato chiaramente durante il briefing sulla Siria: “Ci sono cinque forze esterne — unità statunitensi, iraniane, turche, russe e talvolta israeliane — coinvolte in Siria per importanti, o in molti casi, per i vicini interessi esistenziali”. Con queste parole viene chiarito che il bene può avvenire solo se non si compromettono tali “interessi”. Ciò per cui la coalizione internazionale si impegna in Siria non è quindi il contrasto al pericoloso affacciarsi di un male oscuro e inesorabile, ma di preservare “gli interessi esistenziali”, ovvero gli interessi dell’ordine mondiale e di chi lo detiene.
Secondo questo orizzonte, tutto il resto, tutto ciò che è là fuori e rischia di comprometterlo, è male. Ma a chi appartiene il mondo?