Negli anni 50 ci fu in Francia un movimento per la riforma fiscale fondato e guidato da un cartolaio. Questa volta i “gilet gialli” che manifestano contro l’aumento del carburante sono stati fondati da un camionista e anche questa volta è un movimento spontaneo, dal basso, senza bandiere politiche di alcuna parte. D’altro canto la Francia è la terra della prima rivoluzione popolare della storia e quando i francesi scendono in piazza non fanno sconti a nessuno. Francesco De Remigis, giornalista, parlando con ilsussidiario.net ci racconta di rabbia e frustrazione per un governo sempre più distante dal popolo e dalle sue esigenze: “E’ muro contro muro, è stata convocata una grande manifestazione a Parigi per il 24 novembre dei gilet gialli: sapremo allora che piega prenderà questa rivolta di popolo”.
Dopo il weekend, in cui si sono registrate circa 400 persone ferite, che piega stanno prendendo le proteste?
La protesta continua, ma in misura numericamente minore. Dopo che sabato erano scese per strada oltre 250mila persone che hanno paralizzato più della metà delle arterie nazionali e domenica altre 50mila, da domenica notte sono rimasti dei presìdi agli ingressi delle autostrade o alle pompe di benzina per far sapere che la protesta va avanti.
Che previsioni si possono fare?
Certamente la notizia più significativa è la convocazione per il 24 novembre a Parigi di una manifestazione, un evento lanciato anche questa volta su Facebook dallo stesso camionista che ha dato il via a tutto. Si prospetta dunque un altro fine settimana di fuoco per Macron e il governo.
E’ davvero una protesta trasversale, che va dall’estrema destra all’estrema sinistra? O qualcuno la cavalca cercando di impossessarsene politicamente?
No, è una protesta realmente popolare perché non c’è una leadership unitaria, qualcuno lo paragona al poujadismo, il movimento per la riforma fiscale fondato negli anni 50 da un cartolaio, Pierre Poujade. Quello che caratterizza i gilet gialli è la sensazione di un potere perduto, una protesta che nasce dai conti fatti in tasca. Si avverte una distanza del governo dalla Francia non solo rurale ma anche quella che percorre centinaia di chilometri per recarsi al lavoro nelle grandi metropoli, città troppo costose per potervi abitare.
C’è qualche forza politica che sta cercando di mettere le mani su questo movimento?
Ci sono stati partiti che hanno cavalcato sicuramente la protesta, il Front National per primo. Ma anche la destra gollista si è unita alla protesta, l’estrema sinistra e infine adesso anche una buona parte dei socialisti. Ma i partiti c’entrano ben poco in questa novità assoluta. Si tratta di un accumulo di rabbia e frustrazione.
C’è il senso di essere stati abbandonati dal potere?
Ci si chiede come mai Macron si dedica ad abbassare le tasse dei grandi patrimoni mentre il popolo che ogni giorno percorre chilometri viene tassato. Anche se l’aumento di carburante non è certo una cifra sconvolgente, se pensiamo a quanto costa la benzina in Italia.
Neanche il fatto che la tassa sia presentata come ecologica, cioè contro l’inquinamento dei diesel, fa cambiare idea ai manifestanti?
No, perché fino a pochi anni fa in Francia si è detto che il diesel sarebbe stato un buon investimento e molti hanno acquistato macchine a gasolio. Oggi il governo dice il contrario, obbligando all’acquisto di auto ibride o elettriche che sono costosissime e dunque la gente è rimasta spiazzata da questi propositi ecologisti del governo. Basti pensare a cosa ha detto l’ex ministro Royal in polemica con Macron, accusandolo di fare ecologismo punitivo e isteria fiscale.
C’è dunque grande confusione nel popolo francese?
E’ un cambio di immagine ecologista improvvisa, davanti a cui i cittadini si trovano costretti a rifare i conti di ciò che c’è nelle loro tasche e rimangono perplessi.
Macron sembra giunto al punto più basso nei sondaggi, il 25% di gradimento. E’ il segno di un presidente lontano dal popolo, di una politica confusa?
Non è così confusa, in realtà; si tratta piuttosto di distanza da una grande parte di francesi che non vivono a Parigi. E’ più una difficoltà di Macron nel gradimento personale, nello stesso periodo Sarkozy aveva un rendimento maggiore, ma questo non influenza le politiche e le scelte del governo.
(Paolo Vites)