Numerose le ipotesi su quanto può essere successo a Chakama, 60 chilometri circa a ovest di Malindi, in Kenya, dove è stata rapita Silvia Costanza Romano, 23 anni, cooperante italiana da tempo nel paese africano per conto della Ong Africa Milele che si occupa principalmente di bambini orfani. Una delle ricostruzioni di quanto accaduto parla di un assalto armato nella zona del mercato del villaggio, altre dicono di un attacco diretto alla casa per bambini gestita dalla Ong. Secondo quanto si sa al momento, si sarebbe trattato di un gruppo di circa 80 persone ben armate e organizzate. Marco Di Liddo, analista presso il CeSi (Centro studi internazionali) ci dice che “secondo le testimonianze dei presenti gli attaccanti parlavano somalo” il che ci porta alla pista del gruppo fondamentalista islamico al Shabaab, che da tempo conduce azioni terroristiche in Kenya.



Al momento l’ipotesi più acclarata sembra quella di una azione di al Shabaab, anche se era da tempo, almeno sei anni, che non venivano rapiti cittadini stranieri. E’ così?

Facciamo prima di tutto un esercizio di prudenza rispettosa verso la famiglia della giovane rapita. Diciamo poi che la pratica di rapire cittadini stranieri era prevalentemente diffusa tra le milizie jihadiste nel territorio kenyota. Negli ultimi dieci anni alcuni dei rapimenti più eclatanti di al Shabaab sono avvenuti nelle regioni critiche del Kenya, i resort turistici del nord. Qui ci troviamo invece nel sudest del paese.



Quindi?

E’ una area del paese tradizionalmente lontana dal territorio dove le milizie jihadiste hanno un radicamento più profondo, lontano dalle aree tradizionali di azione. Dobbiamo però dire che queste milizie hanno una grande flessibilità operativa e sono in grado di condurre azioni estemporanee lontano dalle aree di reclutamento.

Che altre ipotesi si potrebbero fare in alternativa a questa?

Nella zona in questione esistono dei network legati a un altro movimento insurrezionalista, il Mombasa Republican Council che non è terroristico in senso jhadista ma come spesso accade in Africa possono avere delle aree di connivenza con realtà fondamentaliste. In questo quadro esiste la possibilità concreta, stando a quanto riferito dai testimoni che hanno detto che gli attaccanti parlavano somalo, che la giovane sia stata rapita o da al Shabaab o da milizie locali che possono venderla o cederla ad al Shabaab. La sua situazione è ad alto rischio.



E’ vero che in quella zona c’è anche un conflitto acceso fra al Shabaab e l’Isis?

Assolutamente sì, c’è una competizione molto forte in tutta l’Africa tra al Qaeda e Isis. Nel caso della Somalia al Shabaab è nell’orbita di al Qaeda, è un conflitto forte che si sovrappone alle tradizionali rivalità tra clan, dove alcuni di essi non riconoscendo più l’autorità dell’emiro di al Shabaab hanno dichiarato fedeltà all’Isis. E’ un conflitto molto forte, più in Somalia che nel Corno d’Africa.

Il fatto che si verifichino queste infiltrazioni dalla Somalia nel Kenya, ci dice che quest’ultimo non è in grado di proteggere i propri confini?

Il termine infiltrazione non dà la misura del fenomeno al Shabaab. Non è infiltrato ma è ben radicato in Kenya dove agisce in modo indipendente rispetto ai leader del gruppo. Il Kenya ha poi moltissime criticità di tipo sociale e politico e al momento non dispone di un apparato in grado di controllare il suo immenso territorio. E’ un problema che riguarda tutti i paesi africani. E’ molto difficile applicare quel genere di politiche educative e di sviluppo che tolgano alla popolazione i motivi per radicalizzarsi. Cioè interventi sociali che diano una alternativa a quella di unirsi, per sopravvivere, alle milizie fondamentaliste.