Distinguiamo, come insegnano i manuali del giornalismo che non c’è più, i fatti pakistani dalle opinioni dello scrivente.
1. A Karachi, la più popolosa città del Pakistan, un commando di indipendentisti del Baluchistan, ha dato l’assalto al consolato della Repubblica popolare della Cina. Due poliziotti morti, i tre guerriglieri aspiravano al suicidio e l’hanno avuto. Il Belucistan è grande 300mila chilometri quadrati, ha dodici milioni di abitanti, ed è il fulcro del China Pakistan Economic Corridor (Cpec), un gigantesco piano di investimenti nelle infrastrutture, ferrovie, strade, porti, da 56 miliardi di dollari. E’ il corridoio che unirà la Cina occidentale al Mar arabico attraverso il Pakistan. I musulmani cinesi uiguri non lo vogliono e neppure i beluci. I quali sono di ceppo iraniano, ma sunnita. I cinesi si sono accordati con l’Iran e il governo di Islamabad. Questo spiega la congiunzione di irredentismo e islamismo sunnita nell’avversione a questo strumento dell’espansionismo cinese che omologa tutto.
2. Casualmente, ma in modo significativo, in questa stessa giornata nel nord-ovest del Pakistan una motocicletta-bomba è stata fatta esplodere sulla porta di un seminario sciita, a Orakzai, a ridosso del passo Khiber al confine con l’Afghanistan. Qui c’è la popolazione degli Hazara. Essi sono bersaglio della persecuzione dei jihadisti sunniti. Almeno 30 morti. Nessuna rivendicazione, ma la mano è ovviamente sunnita.
Insomma i fatti tragici sono due ma la notizia è una sola: ormai il terrorismo è stanziale in questa zona di mondo come le zanzare nelle paludi. E’ l’unica costante pakistana. Gli autori possono avere ragioni diverse, ma hanno lo stesso metodo di conquista del consenso e del potere. Perché?
Quello che sta ancora adesso accadendo è l’esito di una miscela bestiale. La guerra al terrore di Bush ha amplificato l’infezione del terrorismo jihadista. Oggi ci troviamo davanti alla fusione tra i talebani in Afghanistan e gli insediamenti di al Qaeda (prima Bin Laden e poi al Zawahiri) nelle zone prossime del Pakistan. I talebani controllano, nonostante i raid americani, il 60 per cento dell’Afghanistan. E coordinano il passaggio dal territorio pakistano con i seguaci di Bin Laden e Zawahiri ormai classe dirigente di aree strategiche per il commercio della droga. Ormai i seguaci del mullah Omar sono più interessati a produrre ed esportare oppio che la sharia. Il terrore serve a garantire trasferimenti tranquilli di una produzione che in un anno è aumentata dell’87 per cento. A sua volta Al Qaeda oggi è insidiata in Pakistan dallo stato islamico, i miliziani del califfo, che puntano a impadronirsi del mercato del papavero. Come nelle guerre di mafia si scannano i corleonesi di al Baghdadi e i “tradizionalisti” di Zawahiri.
In questo scenario la Cina ambisce ad ampliare la sua sfera di influenza imperiale proprio in Pakistan. Il cui governo sta pensando di girare le spalle agli Usa di cui sono da sempre alleati riottosi, e per i quali hanno avuto 75mila morti in una fallimentare lotta al terrore, per scegliere Pechino, che promette meno guerra e più sviluppo. In fondo per un governo islamico sono entrambi infedeli, vediamo chi offre di più. Ma il diavolo jihadista non ci sta: per questa bestia mai sazia sciiti, americani, cinesi sono comunque un nemico, ed ecco gli assalti, le bombe, la povera gente che viene dilaniata nei mercatini. La pace, o almeno la tregua, non sono all’orizzonte.