Oggi, domenica 25 novembre, alle ore 12, si chiude una delle frequenti votazioni popolari cui noi cittadini svizzeri siamo chiamati nel corso dell’anno su temi federali, cantonali e comunali. Una prassi singolare di democrazia mista (o semidiretta), che non ha equivalenti in altri sistemi democratici.

Questa volta uno dei tre oggetti in votazione ha fatto discutere molto, talvolta in modo acceso, e ha avuto un’importante risonanza anche all’estero.



Si tratta dell’Iniziativa popolare costituzionale, lanciata dall’Udc (Unione democratica di centro) con il titolo suggestivo di “Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (iniziativa per l’autodeterminazione)”. Il termine “giudici stranieri” ha una notevole forza evocativa perché ricorda le lotte per l’autonomia locale contro le interferenze feudali, che stanno all’origine del primo nucleo della Confederazione (Patto del 1291).



L’Udc non è, come spesso erroneamente si scrive, un partito di estrema destra; è il partito di maggioranza relativa al Consiglio nazionale ed ha un profilo liberal-conservatore, preoccupato di salvare il modello svizzero e i valori “svizzeri” nella loro peculiarità, minacciati dalle crescenti pressioni esterne, specialmente da parte dell’Ue, e dalla “complicità” di ampia parte delle forze politiche interne. Facendo leva su comprensibili preoccupazioni della gente — da una libera circolazione incontrollata alle derive centralistiche burocratiche dell’Ue, poco disposta a capire la peculiarità del modello svizzero — l’Udc ha aumentato in questi anni il proprio consenso elettorale.



Con questa iniziativa l’Udc intende scrivere nella Costituzione la preminenza del diritto costituzionale rispetto al diritto internazionale (fatte salve le disposizioni cogenti tra i quali il divieto della tortura, della schiavitù ecc.).

Il movente politico di fondo è la convinzione che la maggior parte dei politici svizzeri non voglia rispettare la volontà popolare. Quella che, per esempio, si è espressa il 9 febbraio 2014 “Contro l’immigrazione di massa”. L’iniziativa, essendo in contraddizione con la votazione popolare del 2000 sul primo pacchetto di accordi bilaterali con l’Ue, che comprendeva anche l’Accordo sulla libera circolazione, ha creato un vero e proprio rompicapo e ha spinto Governo e Parlamento a cercare una via d’uscita, che riflette solo parzialmente la volontà popolare.

Se dovesse passare l’iniziativa, rigida nella sua formulazione, sarebbe difficilmente applicabile (la Svizzera infatti ha firmato migliaia di trattati, solo i più importanti sottoposti a referendum obbligatorio o facoltativo) e offrirebbe all’Udc il pretesto per denunciare ancora una volta il non rispetto della volontà popolare e guadagnare ulteriori consensi.

D’altra parte già ora la prassi svizzera, che prevede per i trattati più importanti il referendum obbligatorio e per altri quello facoltativo, garantisce che un trattato importante sia in accordo con la volontà del popolo. Se la Costituzione cambia un trattato può essere denunciato. A titolo d’esempio, la Svizzera ha aderito al Consiglio d’Europa solo nel 1963 e alla Cedu nel 1974, dopo aver rimosso alcuni ostacoli ed aver constatato la piena compatibilità costituzionale.

Un’ultima osservazione: assolutizzare la volontà del popolo, come sembra fare l’Udc, contiene a mio avviso un elemento di stampo giacobino. Il popolo, come ogni realtà umana, può talvolta sbagliare. La democrazia non è uno strumento perfetto e dunque avere dei margini, in un ragionevole equilibrio di poteri, per correggere ed adattare (non tradire), è saggezza politica.