Il Pil della Gran Bretagna rischia di sprofondare ma col no-deal potrebbe anche essere peggio: in poche parole, secondo le stime degli economisti del Tesoro di Londra i prossimi anni post-Brexit potrebbero essere tutt’altro che semplici per il Governo May e per gli altri che lo seguiranno. Nel frattempo, lato Europa, i negoziatori dell’accordo raggiunto con i Tory spingono affinchè nel “marasma” delle liti tra le varie anime de Parlamento inglese non si perdano di vista i diritti dei cittadini Ue in Regno Unito: «L’Unione Europa vigilerà sull’applicazione degli accordi in materia dei diritti dei cittadini dell’Ue in Gran Bretagna», spiega il capo-negoziatore per la Brexit, Michel Barnier, durante l’audizione informale al Parlamento Europeo. «I britannici hanno scelto la Brexit per il desiderio di limitare la libera circolazione della persone: ma questo non riguarda la migrazione, ma la libera circolazione dei cittadini europei»: data la rinuncia di Londra al principio della libera circolazione, conclude Barnier, «non sarà possibile negoziare una mobilità reciproca, ma eviteremo discriminazioni fra i Paesi europei».



PIL UK RISCHIA DI CALARE IN 15 ANNI DEL 3,9%”

Le previsioni del Tesoro Gb spaventano Londra: in caso di divorzio dall’Ue con un accordo sancito, la Gran Bretagna è destinata a perdere il 3,9 per cento del Pil nel giro di quindici anni. E c’è di più: se non arriverà l’intesa tra le parti coinvolte, il calo potrebbe raggiungere il 9,3 per cento. Ma Theresa May insiste e rilancia: «L’accordo raggiunto è il migliore disponibile, soprattutto per quanto riguarda lavoro e economia». Il primo ministro ha aggiunto che l’accordo offrirà delle opportunità nel futuro, nonostante l’avvertimento del Ministero dell’Economia. E l’opposizione è sul piede di guerra: il leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbin ha parlato di grande pasticcio, con l’intesa raggiunte che non garantirà «commerci senza barriere e rischia di portare ulteriore austerità». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)



TRUMP CONTRARIO AD ACCORDO GB-UE

Non dire Brexit se non ce l’hai nel sacco. A sostituirsi al “gatto” di Trapattoniana memoria è l’accordo per l’uscita del Regno Unito dall’Ue, che nonostante il via libera di Bruxelles resta ancora tutto da verificare. Un passaggio cruciale sarà quello in Parlamento, quando Theresa May cercherà il consenso della Camera dei comuni, la camera bassa del Parlamento britannico. Un passaggio tutto meno che scontato, per quanto per l’approvazione del testo sia necessario raggiungere la maggioranza semplice, pari a 320 parlamentari su un’assemblea di 630 eletti. Il governo May, come ricorda Il Sole 24 Ore, si regge su una maggioranza di 327 parlamentari fra Conservatori (317) e Partito unionista irlandese (10), contro i 322 dell’opposizione fra laburisti (262), partito nazionale scozzese (35), liberal democratici (12), Sinn Féin (gli indipendisti irlandesi, 7) e altre sigle minori. Secondo la deputata conservatrice Sarah Wollaston, viste le defezioni sicure all’interno dei Tories, non è “neppure remotamente possibile” che l’accordo passi. A meno che May non riesca nell’impresa di convincere qualche deputato di sinistra…(agg. di Dario D’Angelo)



MAY SFIDA CORBYN

Il prossimo 11 dicembre la premier May saprà forse qualcosa di più (o forse tutto) sul suo prossimo futuro politico alla guida del Regno Unito: sarà infatti il giorno in cui l’accordo Londra-Ue sulla Brexit approderà in Parlamento, dopo la decisione posta dalla stessa leader Tory ieri alla Camera dei Comuni. Si gioca tutto in quel voto la sua permanenza alla guida del Paese, oltre che ovviamente il passaggio o meno ad un divorzio “soft” della Gran Bretagna nell’Unione Europea. A dirla tutta, quell’accordo che la May ha ribadito ancora ieri essere «il migliore possibile per tutti i cittadini inglesi» non convince proprio nessuno: né nella maggioranza, né ovviamente nelle opposizioni, ma soprattutto sembra mettere “concordi” sia gli anti-Brexit che i più accaniti brexiters. Ora la grande impresa: convincere in 10 giorni un Parlamento (e forse anche un Paese) che quel aut-aut «o me o il caos» è non solo vero ma anche l’unica possibilità affinché non si assisti ad altri mesi di completo sfascio della politica Uk come dopo il referendum choc vinto dai “Leave”. Per condurre in porto la “battaglia”, la May sarebbe pronta secondo la Bbc a spiegare al Paese intero l’accordo con l’Unione Europea portato a termine lo scorso weekend (con la firma dei 27 leader Ue concordi al “divorzio inglese”): un tour per il Regno Unito che scatta oggi in Galles e in Irlanda del Nord, ma anche una sfida lanciata al leader Labour Jeremy Corbyn. «Io intendo spiegare perché credo che questo accordo sia l’accordo giusto per il Regno Unito e, sì, sono pronta anche a un dibattito con Jeremy Corbyn», scrive sul Sun oggi la premier di Downing Street. La replica? Immediata, of course: «Jeremy già pregusta di poter dibattere faccia a faccia con Theresa May del suo accordo-pasticcio sulla Brexit e del futuro del Paese», spiegano dal Labour.

BREXIT, SCONTRO MAY-TRUMP SUI RAPPORTI COMMERCIALI

I problemi interni però per la Premier May non sono i soli in questo periodo ricco di nodi-guai che offuscano il già difficile piano della Brexit: ci si mette anche il vulcanico presidente Donald Trump che dopo i trascorsi già “burrascosi” sul fronte del divorzio dall’Unione Europea oggi torna alla carica scagliandosi contro il Governo britannico. «L’accordo appare come una grande intesa per l’Ue, a detrimento però della possibilità di fare commerci con gli Stati Uniti». In questo modo, con lo stop ai rapporti commerciali tra i due Paesi di massima alleanza geopolitica, la May resterebbe ancora più isolata di quanto già non lo sia attualmente: senza più Ue e con gli Usa lontani. La premier Tory lo sa bene e per questo prova a ricucire anche su questo ennesimo “piano”: «L’accordo sulla Brexit sottoscritto dalla premier Theresa May con Bruxelles non rappresenta un ostacolo a un futuro trattato di libero scambio privilegiato fra Londra e Washington dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue», rilancia un portavoce di Downing Street, salvo poi intervenire la stessa May poco dopo «Noi abbiamo già posto le basi per un ambizioso accordo commerciale con gli Usa».