La Germania è senza dubbio la potenza leader dell’Unione Europea, ma la sua situazione reale presenta più crepe di quante possano apparire in superficie. La recente rinuncia di Angela Merkel alla guida della Cdu ha messo in luce le difficoltà della politica tedesca, per molti versi parallele a quelle di altri Stati europei, inclusa l’Italia, come descritto in un precedente articolo. Inoltre, anche la Germania, come l’Italia, ha un suo Sud, nel suo caso un Est: i Länder della ex Repubblica democratica tedesca. Infine, malgrado la sua indubitabile ricchezza, anche la Germania deve affrontare l’aumento al suo interno della povertà e della diseguaglianza economica. Una bomba a orologeria, come recitava il titolo di un articolo apparso nel novembre 2017 sul sito in inglese di Deutsche Welle, emittente pubblica tedesca.



L’articolo in questione evidenziava come circa il 20% dei tedeschi debba ricorrere a sussidi statali di diverso tipo, mentre un altro 30%, definito dall’articolo “classe medio bassa”, ha redditi che rendono costante il rischio di insicurezza sociale. Si sottolineava, poi, che solo il 40% dei tedeschi vive in case di proprietà, contro il 70-80% di italiani e spagnoli. Veniva, infine, citato uno studio della Bce, secondo il quale metà delle famiglie tedesche hanno un patrimonio netto da zero a 60mila euro, a confronto di patrimoni netti medi italiani di 150mila euro e francesi di 120mila euro.



Un successivo articolo del mese scorso ribadiva questi dati, segnalando un leggero miglioramento: rispetto al 19,7% del 2016, la percentuale è scesa nel 2017 al 19%. Queste percentuali sono inferiori alla media Ue, pari al 22,5%, ma Deutsche Welle segnala che i costi degli alimentari e dell’energia in Germania sono tra i più bassi nell’Unione, così come molto basso è il tasso di disoccupazione.

Ciò mette in evidenza che il soddisfacente tasso di occupazione è stato raggiunto con salari bassi, tali da non mettere molti tedeschi al riparo dal rischio di povertà. Un punto, questo, sollevato anche dall’Fmi in un rapporto del maggio 2017, in cui si sottolineava la necessità di reinvestire il consistente surplus di partite correnti tedesco, quell’avanzo che è in costante violazione delle regole Ue e fonte di conflitti con altri Stati europei, oltre che con gli Stati Uniti. L’Fmi invitava il governo tedesco a investire maggiormente sul mercato interno, segnalando, in particolare, la necessità di evitare l’aumento del tasso di povertà, anche attraverso un incremento dei salari.



Altri particolari aspetti del problema vengono evidenziati da Die Zeit, che in un recente articolo sottolineava la gravità del problema nelle famiglie con un solo genitore, circa un quinto secondo il quotidiano, di cui il 90% costituito da donne. Costoro sono maggiormente spinte a cercare un lavoro rispetto alle donne con coniuge, ma trovano molte più difficoltà anche per la scarsità di strutture che possano seguire i figli: 2,4 milioni di bambini tedeschi vivrebbero con un solo genitore. Sempre Die Zeit, in un articolo dello scorso anno, riportava come il tasso di povertà sia negli ultimi anni cresciuto notevolmente tra i rifugiati, il cui numero è aumentato considerevolmente in questo lasso di tempo. A tal proposito, è importante sottolineare una notazione dell’articolista, valida in tutte le situazioni simili: per i rifugiati, lo stato di assistiti è probabilmente del tutto accettabile, date le condizioni in cui si trovavano in precedenza, ma diverrà sempre più intollerabile a mano a mano che si integreranno nella società che li ha accolti.

Si giunge così all’altro corno del problema, cioè la pesante diseguaglianza sociale. Una prima diseguaglianza, riportata dal primo articolo citato, riguarda le differenze tra la ex Germania federale, o dell’Ovest, e quella dell’Est: il salario medio nei Länder orientali è pari all’80% di quello dell’Ovest e pari a circa la metà sono i patrimoni netti delle famiglie. A livello generale, secondo i dati di una ricerca della Hans Böckler Stiftung, fondazione dei sindacati tedeschi, un terzo delle famiglie tedesche potrebbe, con le proprie risorse, mantenersi solo per poche settimane o al più qualche mese, mentre le famiglie in cima alla classifica lo potrebbero fare per almeno due decenni.

Anche Der Spiegel si è occupato all’inizio di quest’anno della questione, utilizzando i risultati di una ricerca del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (Diw), in cui vengono messe a confronto Germania, Francia e Spagna. Secondo questi dati, relativi peraltro al 2014, l’1% delle famiglie in cima alla classifica posseggono un terzo dell’intera ricchezza (per la Bce sarebbe “solo” il 23,6%), mentre il 10% arriverebbe quasi al 64%; per converso, il 50% più povero varrebbe il 2,26%, la stessa percentuale delle 45 famiglie più ricche. Secondo questa ricerca, contrariamente a quanto sostenuto dalla Bce, le diseguaglianze in Germania sarebbero superiori a quelle di Francia e Spagna.

Comunque sia, queste analisi pongono in rilievo come non ci siano differenze solo orizzontalmente tra i vari Paesi, ma verticalmente all’interno di ciascuno di essi, anche in quelli considerati ”virtuosi”.