Theresa May, la premier britannica, ce l’ha fatta a battere la mozione di sfiducia che, all’interno del suo stesso partito, i tory, i conservatori di Westminster, avevano presentato, partendo da una mozione sottoscritta da 48 deputati, per farla dimettere dopo la trattativa e l’accordo raggiunto faticosamente con l’Unione Europea sulla Brexit. Trattativa giudicata insufficiente, troppo morbida e accomodante.



La ribellione è stata formalizzata da Graham Brady, leader della cosiddetta Commissione 1922, che ha l’incarico di indire le consultazioni per il leader dei tory quando viene messo in discussione da un certo numero di deputati; in questa occasione erano 48 parlamentari.

Sembrava che la premier potesse prima soccombere, ma poi raggiungere la maggioranza per un soffio, tanto si era ingrossato in questi giorni il dissenso. Theresa May ha fatto un’ultima riunione. Probabilmente decisiva è risultata la dichiarazione della premier, quando ha detto con chiarezza che non intende presentarsi come guida dei tory alle elezioni del 2022.



In altri termini, secondo la consuetudini che regolano la vita parlamentare inglese, la May si dimetterà dal suo attuale ruolo e quindi lascerà ad altri la conduzione del suo partito e di un eventuale governo tory in caso di vittoria elettorale. Questa conferma, che già era stata anticipata, deve aver spostato la scelta di voto di alcuni deputati.

Se Theresa May poteva contare alle 7 di ieri sera, quando si sono aperte le consultazioni sulla sua leadership, su una maggioranza risicata di 160 voti dichiarati, alle 10 di sera raccoglieva in totale 200 voti. Un grande sospiro di sollievo di fronte a un vuoto che si sarebbe aperto con la Brexit, dopo l’uscita concordata con l’Unione Europea, passando da quella che viene chiamata una “soft Brexit” a una “hard Brexit”, con conseguenze imprevedibili.



Anche perché da Bruxelles facevano sapere che non c’era spazio per nuove trattative e sul complicato “nodo irlandese”, sulla questione della frontiera tra Regno Unito e Irlanda che resta nell’Ue.

Ma la questione relativa alla Brexit non è solo questa e c’è già chi parla della possibilità di un secondo possibile referendum, in una sorta di ripensamento generale, che vedrebbe secondo i sondaggi un 53 per cento, in questo momento, schierato per il “remain” con l’Ue e non più con il “leave”.

Previsioni e discorsi complicati, di fronte a una realtà di fondo che, su 317 deputati tory, ben 117 cioè un terzo del partito sono al momento critici con la loro leader. Il numero dei “ribelli” o dei contestatori, secondo Jacob Ress-Mogg, il più agguerrito anti-May, ispirato da Boris Johnson (ex ministro degli Esteri ed ex sindaco di Londra) è tale che evoca una prova terribile per il primo ministro.

In tutti i casi, Theresa May per un anno ha ottenuto via libera dal suo partito e la sua linea non può essere rimessa in discussione. Anche se la realtà di Westminster non sarà mai facile.

Theresa May era stata informata l’altra sera delle “forche caudine” che le avevano preparato mentre era reduce dai colloqui sulla trattativa prima a Bruxelles, poi all’Aja e a Berlino, in attesa di rassicurazioni aggiuntive sul cosiddetto backstop: il meccanismo di salvaguardia sul confine aperto tra Irlanda e Irlanda del Nord, proprio il nodo che rende indigeribile la trattativa ai dissidenti tory. La May ha quindi rinunciato a una tappa a Dublino, fermandosi a Londra e affrontando la sfida più dura per “portare a termine il lavoro” come aveva detto ieri mattina davanti all’albero di Natale di Downing Street e poi nel question time ai Comuni.

Diciamo che al momento Theresa May si è salvata, ma tutta la questione diventa sofferta e i laburisti di Jeremy Corbin possono attaccare la premier in modo duro, facendo notare come la Brexit stia tagliando una testa dopo l’altra ai conservatori. E’ forse questa paura di perdere alle prossime elezioni che ha permesso a Theresa May di salvarsi.

Naturalmente, tutto questo avviene in un’altra giornata convulsa per l’Unione Europea. Se la questione della Brexit ha creato dei forti “patemi d’animo” per usare un eufemismo, da una parte e dall’altra, nella mattinata di ieri ci aveva pensato il solito “molto acuto” (eufemismo in senso negativo) Pierre Moscovici a creare un putiferio con un’intervista e una serie di dichiarazioni al limite della decenza a Le parisien. I gilet gialli che hanno imperversato in queste settimane e promettono un nuovo sabato terribile per Parigi, con altre ventidue giornate di sciopero, nonostante il patetico “mea culpa” del famoso Emmanuel Macron (in disgrazia ormai anche tra i suoi supporters italiani), richiedono investimenti per la Francia che portano a un deficit del 3,4 per cento, uno sfondamento del limite di Maastricht ben superiore a quella degli italiani sempre criticati.

Ma la grande sorpresa (si fa per dire) di Moscovici, commissario francese che controlla la Francia (guarda che caso!) è la dichiarazione che “la Francia questo sfondamento se lo può permettere, l’Italia no”. A questo punto le regole non sono uguali per tutti, ma entrerebbe in gioco il “contesto”, naturalmente tutto da verificare.

Franz Kafka, fosse ancora tra noi, potrebbe dedicare a questa Commissione europea e a Moscovici in particolare un racconto splendido di incubi e ironie drammatiche sulla burocrazia dei tecno-sauri che vivono su Marte. Forse.

Ma questa è l’Europa che ogni tanto qualcuno si ricorda di attaccare, ma subito dopo si cerca di difendere malgrado il suo marasma.

Brexit, la rivolta di Francia, l’incertezza della Germania con un governo che sta ormai in piedi con lo scotch e la manovra italiana che sembra evitare l’apertura della procedura d’infrazione dopo un fracasso d’inferno. In più un singolo “pistolero” che paralizza Strasburgo e che la famosa ex Sûreté Nationale francese non riesce a catturare, neanche fosse guidata dall’ispettore Clouseau.

Una confusione drammatica. Non siamo ancora allo stato preagonico che molti profetizzano, ma certamente un’Europa allo sbando così nessuno se la poteva immaginare solo qualche anno fa. Giorno dopo giorno la stiamo proprio conoscendo bene in tutti i suoi aspetti.